Cinecircolo Casalini
Programma della Stagione 2017

Proiezioni presso la Sala Chaplin, in Via Plateja 142, Taranto
Orario Spettacoli: 18.00 – 21.00
Quota sociale: Adulti € 25.00, Studenti € 22.00
La tessera sociale si può sottoscrivere presso la sede del Cinecircolo nelle serate di programmazione delle attività.
Tutte le proiezioni avranno luogo di mercoledì

Il programma potrà subire delle variazioni per cause di forza maggiore
18 gennaio
Joy
di David O. Russell








Joy
di David O. Russell
Con Jennifer Lawrence, Bradley Cooper, Robert De Niro
Usa, 2015
Durata: 124'
Drammatico

La storia turbolenta di una donna, Joy, e della sua famiglia attraverso quattro generazioni: dall’adolescenza alla maturità, fino alla costruzione di un impero imprenditoriale che sopravvive da decenni.



Cos'è successo al "sogno americano", letteralmente fatto a pezzi da un padre che distrugge la casa di carta della piccola rampolla inibendone ogni capacità d'immaginarsi un futuro migliore? C'è come uno iato generazionale, un'incomunicabilità interfamiliare che solo gli sforzi titanici di una nonna idealista riescono non a colmare, ma perlomeno ad aggirare. A fronte di opere più esplicitamente ostili al capitalismo (finanziario) come La grande promessa, Joy, per certi versi, può essere accostata a Steve Jobs, un altro recentissimo biopic che individua nel privato l'origine dei guai, dei problemi, degli affanni dei protagonisti. La famiglia è - come in altri film di David O. Russell - l'epicentro dei terremoti, l'occhio dei cicloni che l'attraversano, la mettono in crisi, rischiando di minarne l'unità, d'incrinarne la solidità, di distruggerne la fiducia. […] Joy è un melodramma biografico piuttosto ossequiente alle regole del genere, salvo forse la scelta della voce narrante assegnata a un personaggio (la nonna) che a metà film muore. […] 
La meccanica del racconto conosce innesti di marcia che fanno procedere più spedito, o rallentamenti che provocano una flessione dell'andatura, scandita da varie scene-madri che offrono il destro ai protagonisti per esibirsi in numeri che collocano al centro dell'attenzione. Fedele ai suoi attori preferiti [...], il regista David O. Russell lo è anche su alcune tematiche, coi fari puntati sulla responsabilità della famiglia per ogni tipo di crisi, psicologica o economica, che i personaggi debbono affrontare. Rivalità fra consanguinee come in The Fighter (cambia solo il sesso dei contendenti), eccentricità nei rapporti interpersonali (padre ed ex marito ospitati in cantina, nel medesimo locale) come ne Il lato positivo, truffe tentate da vampireschi imprenditori texani con tanto di cappellone, ma senza scrupoli, sventate da contromosse che non concedono vie di fuga come in American Hustle.

Mario Molinari (Segnocinema n. 198)





25 gennaio
Lo stagista inaspettato
di Nancy Meyers





Lo stagista inaspettato
(The Intern)
di Nancy Meyers
Con Robert De Niro, Anne Hathaway
USA, 2015
Durata: 121'
Commedia

Una società start up che vende on line articoli di abbigliamento assume come stagista Ben Whittaker, un vedovo settantenne annoiato dalla sua vita di pensionato. La fondatrice della compagnia, Jules Ostin, lo accoglie con perplessità, ma Ben saprà dimostrare il suo valore e tra i due nascerà un'inaspettata sintonia.



Se l'espressione che lo designa è recente, il feel-good movie o "film per stare bene" esiste da sempre. Magistralmente rappresentato da Frank Capra, nelle ultime stagioni è cresciuto e si è moltiplicato (vedi Il lato positivo , St. Vincent o, in Europa, Quasi amici) incrociando a volte il tema della terza età. Già frequentatrice del filone, la regista e sceneggiatrice Nancy Meyers ha immaginato il seguente soggetto. Vedovo e pensionato settantenne, Benjamin Whittaker [...] grazie a una start-up per il riutilizzo degli anziani, diventa stagista senior nell'e-commerce della moda. Sarà l'assistente personale di Jules Ostin, la giovane amministratrice delegata; la quale […], poco a poco, si rende conto di chi sia davvero il vecchio Ben: una specie di angelo custode mandato dal cielo, pronto a dispensare infallibili consigli a lei e ai giovani geek. La cosa migliore di Lo stagista inaspettato è l'alchimia che si stabilisce tra Robert DeNiro, una volta tanto interessato alla parte che deve interpretare, e Anne Hathaway, che quasi dieci anni dopo Il diavolo veste Prada ha fatto carriera nell'ambiente della moda. Meyers introduce temi seri: la difficoltà d'invecchiare, sentendosi "dismessi", in un mondo liftato e tecnologico; quella, per una donna, di conciliare carriera e famiglia; quella di accettare la situazione di coppia da parte del marito casalingo. […] 
Bisogna dire subito che la componente sessuale non riguarda Ben e Jules: non si tratta, insomma, della commedia romantica inter-generazionale che qualcuno potrebbe temere. Tutto secondo le regole, dunque; e se poi anche il vecchietto ha diritto alla sua parte di romanticismo, la troverà nella più matura e confacente massaggiatrice aziendale Fiona (Rene Russo). Pur evitando i peggiori cliché in cui un film del genere poteva incorrere, la Meyers declina il contrasto tra generazioni in una favola morbida e benevola, piena di buoni sentimenti, dove la vecchiaia diventa quasi una nuova giovinezza (l'intramontabile tema americano della "seconda possibilità") e i giovani traggono enormi vantaggi dall'interfaccia con gli anziani. Non sarà un esempio di realismo, ma tanto meglio se Ben, nonno super-idealizzato, comprensivo, fiero dell'esperienza quanto aperto al cambiamento, darà una mano a rivalutare una fascia anagrafica che oggi gode di scarsa popolarità.

Roberto Nepoti (La Repubblica, 15 ottobre 2015)





1 febbraio
OffiCinema
Il Cinema di Joel & Ethan Coen


Registi e sceneggiatori cinematografici statunitensi: Joel, nato a St. Louis Park (Minneapolis) il 29 novembre 1954; Ethan, nato ivi il 21 settembre 1957. Nell'ambito di un lavoro tra i più originali nel panorama cinematografico statunitense degli anni Ottanta e Novanta, in cui appaiono perfettamente combinate le tecniche di ripresa più sofisticate e una spiccata coscienza letteraria, appare estremamente significativa l'evoluzione poetica ed espressiva che percorre la loro opera. Ai primi film, strutturati sul sovvertimento e la contaminazione delle regole narrative dei generi, è seguito un ripensamento del puro divertissement in chiave malinconica mediante il quale il cinema dei C. ha assunto un respiro più ampio, pur continuando a delineare un mondo caotico e sregolato. Affermatisi con il loro stile di inequivocabile singolarità, nel 1991 si sono aggiudicati la Palma d'oro al Festival di Cannes per Barton Fink (Barton Fink ‒ È successo a Hollywood) e nel 1997 il premio Oscar per la migliore sceneggiatura con Fargo (1996).Provenienti da una famiglia di intellettuali ebrei, dopo aver studiato al Simon's Rock of Bard College (Massachusetts) Joel ed Ethan hanno continuato la loro formazione seguendo rispettivamente l'Institute of Film and TV di New York e i corsi di filosofia alla Princeton University. L'esordio nel cinema risale al 1984 quando con Blood simple (Blood simple ‒ Sangue facile), i due autori hanno ottenuto un insperato successo di pubblico, dopo che in precedenza Joel aveva collaborato con Sam Raimi e per quest'ultimo aveva scritto con Ethan la sceneggiatura del film Crimewave (1985; I due criminali più pazzi del mondo). In particolare, sin da questa prima opera appare consolidato un metodo di lavoro che prevede la piena collaborazione dei due fratelli in tutte le fasi. Se Joel è più coinvolto nella regia ed Ethan nella produzione, i film risultano però scritti da entrambi e, in particolare, un procedimento di annotazione sistematica dei loro piani di ripresa fa delle sceneggiature non un canovaccio, ma un progetto di messa in opera perfettamente funzionale al basso budget del loro cinema indipendente. La pratica paraletteraria della sceneggiatura ha nel loro lavoro il valore di un'accurata fase di pre-produzione che include, nel dettaglio, ampie didascalie, minuziosi appunti di regia, sino alla previsione del minimo effetto sonoro, con le scene da girare predisposte in tutti i particolari, in modo da ridurre così i costi di lavorazione e assicurarsi il final cut. In particolare, fa da sfondo a Blood simple, come alle altre prime commedie acide dei C., la grande provincia statunitense, specchio di un profondo disadattamento e di una difficile convivenza fra le minoranze che, soprattutto nei primi film, produce un divertissement dal sapore amaro. E se l'umorismo ebraico si rivela componente fondamentale del loro gusto per la farsa grottesca, qualche traccia mostrano di aver lasciato nel loro stile anche le commedie all'italiana, approssimativamente doppiate e viste da ragazzi. 

Con spirito iconoclasta, i C. attraversano così il pulp hollywoodiano rovesciandone la logica rassicurante: in questa chiave ironica e allucinata va letta la loro revisione dell'horror nel primo film, come anche quella della screwball comedy nel successivo Raising Arizona (1987; Arizona junior), e del thriller e della gangster story in Miller's crossing (1990; Crocevia della morte). I C. della prima fase guardano al cinema soprattutto come a un serbatoio di moduli compositivi e narrativi, penetrati così a fondo nell'immaginario da indurre reazioni quasi automatiche nel pubblico, le cui aspettative vengono volutamente e puntualmente tradite: si pensi alla scelta in Miller's crossing di uno scenario boschivo totalmente estraneo all'ambientazione urbana richiesta da un vero noir. In questo film, in particolare, meno straniato rispetto al genere di riferimento, emergono comunque tutti i tratti stilistici del loro cinema: prospettive distorte, veloci piani-sequenza, primi piani improvvisi. Il meccanismo di distorsione e di contaminazione degli schemi narrativi e del linguaggio risulta accentuato dalle impietose inquadrature grandangolari, dalle riprese ravvicinate in soggettiva e dalle brusche, vorticose plongées dei due autori, che si erano spinti a far avventurare la macchina da presa fin dentro il cavo orale dei protagonisti nel precedente Raising Arizona, mentre nel successivo Barton Fink (1991) la macchina da presa viene lanciata lungo spazi reconditi e sotterranei, come i tubi del lavandino della modesta stanza d'hotel in cui lo sceneggiatore protagonista (John Turturro) cerca ispirazione. In quest'opera, fondamentale per comprendere il lavoro di deformazione accentuata del reale sempre più indirizzata sulla strada del grottesco, il processo di scomposizione dei generi di tradizione hollywoodiana sembra assumere le sfumature allucinate dell'incubo, mentre la riscrittura e l'uso del déja vu si confermano tra i principali elementi alla base del loro stile eterodosso, in cui risultano frequenti gli omaggi ai film di Alfred Hitchcock e Orson Welles. 



Con tocco più lieve, ma egualmente indirizzato verso una scelta intellettualistica, i C. hanno quindi realizzato nel 1994 il funambolico The hudsucker proxy (Mister Hula Hoop), valendosi della collaborazione di Sam Raimi, a seguito del quale però, la miscela di glamour hollywoodiano e di slapstick comedy è apparsa formula cinematografica fin troppo prevedibile e non priva di una certa stanchezza anche agli occhi dei due fratelli. Così, pur lasciando inalterato l'intreccio rocambolesco che ha la sua fonte letteraria privilegiata nella detective story chandleriana, con i suoi percorsi spericolati e la figura del detective come personaggio sempre fuori parte, travolto, suo malgrado, da imprese al di sopra delle sue possibilità, i C. hanno corretto le pose fumettistiche dei protagonisti e gli accenti manieristici delle loro rivisitazioni. Non a caso, a partire da Fargo sono stati abbandonati i fondali posticci dei generi hollywoodiani e gli intricati intrecci chandleriani sono stati trasferiti tra le nevi del Minnesota. In tale rinnovato contesto si inseriscono personaggi schivi come la Marge Gunderson (Frances MacDormand) di Fargo, splendida figura di donna poliziotto, o il 'Dude' (Jeff Bridges) di The big Lebowski (1998; Il grande Lebowski), in cui si riaffaccia l'incapacità di distinguere ciò che è reale da ciò che è fittizio che aveva connotato Barton Fink, in una Los Angeles congestionata dove spetta a un 'reduce' degli anni Sessanta resistere al fanatismo consumistico che lo circonda. I C. affidano qui a un personaggio inaffidabile il compito poliziesco di uscire dalle trame artificiose di loschi interessi e di violenza dei poteri occulti, provocando un'inversione di ruoli in cui lo slacker intorpidito dalle droghe leggere assume una funzione costruttiva che, per contrasto, ancor meglio illumina la profonda corruzione e il disordine dei poteri mediatici e finanziari contro cui deve battersi. Il lavoro di spostamento (di ruoli, di soluzioni narrative), di ricontestualizzazione, di incastro e di selezione di materiali che caratterizza i loro film, li rende nel complesso un corpus intertestuale di intrecci abilmente dislocati dalla pagina scritta allo schermo in cui l'uso ironico della citazione letteraria fa affiorare per contrasto, dietro ai paesaggi quasi artici in cui vengono ambientate alcune delle storie, una topografia letteraria che, prima di loro, aveva collocato i disadattati nel Sud degli Stati Uniti: da W. Faulkner a scrittrici come C. McCullers o F. O'Connor. In O brother, where art thou? (2000; Fratello dove sei?) singolare rilettura dell'Odissea riambientata negli anni della Depressione, le coordinate geografiche tornano a coincidere con quelle della sempre denunciata matrice letteraria di riferimento (la fuga dei tre galeotti protagonisti si snoda infatti lungo il Mississippi) contaminata da percorsi che incrociano suggestioni di vario tipo, a partire dal titolo (esplicita citazione del titolo del film che il protagonista di Sullivan's travel, diretto nel 1942 da Preston Sturges, progetta di realizzare e al quale poi rinuncerà), e compresi richiami a reali ed emblematici personaggi di quel periodo, come il famoso gangster 'Babyface' Nelson. Nel successivo The man who wasn't there (2001; L'uomo che non c'era) i C. hanno mostrato di voler esasperare le modalità del citazionismo, mimando manieristicamente il modello del noir e nello stesso tempo straniandolo, e sospendendo in un bianco e nero polveroso l'intricato incubo di un 'uomo senza qualità', reso alla perfezione dalla recitazione opaca e inquietante di Billy Bob Thornton.
Una significativa conferma della forte ispirazione letteraria sottesa alla loro opera è il pur fugace passaggio alla narrativa di Ethan con i racconti di Gates of Eden (1998), che non smentisce l'abilità combinatoria, l'eclettismo e il gusto per la rivisitazione ironica mostrata dietro alla cinepresa insieme con il fratello Joel, e ripropone la miscela di umorismo yiddish e di screwball comedy che caratterizza i loro film.
Daniela Daniele

(Enciclopedia del Cinema Treccani)





15 febbraio
Perfetti sconosciuti
di Paolo Genovese






Perfetti sconosciuti
di Paolo Genovese
Con Valerio Mastandrea, Kasia Smutniak, Giuseppe Battiston
Italia, 2016
Durata: 97'
Commedia/Drammatico

Un gruppo di amici a cena decide di testare la reciproca sincerità condividendo i messaggi che ognuno di loro riceve sul cellulare. Quello che inizia come un gioco porterà le quattro coppie a confrontarsi e a scoprire di essere "Perfetti Sconosciuti".



Perfetti sconosciuti è un film cattivo, e che sempre ne sia lodata la cattiveria. Un film che smorza nella romanità popolare (quella de 'sti regazzini che so' cresciuti insieme, e che ora hanno 40 anni) la prosopopea borghese del cinema più “alto” che ha questo genere d'impianto: quello, appunto, che ammicca al suo pubblico, con complicità intellettuale e di classe, proprio quando vuole strappargli di dosso la sua maschera e le sue ipocrisie. Qui, al pubblico, non ammicca nessuno, proprio no. E non si fa quell'analisi che, vien fuori, uno dei personaggi usa come ultima spiaggia per salvare il suo matrimonio. Qui, al massimo, si rispecchiano un po' delle nostre colpe banali, e dei nostri fantasmi quotidiani, e delle nostre paure più semplici e recondite: quelle che le persone a cui vogliamo bene ci nascondano qualcosa. Cose che ci possono fare del male ma che vogliamo terribilmente, masochisticamente, conoscere. Perché il gioco che giocano questi qui, durante un'eclisse di luna, è terribilmente masochista, e lo sanno tutti. Il sadismo no, non c'è: quello sì che sarebbe stato terribilmente borghese. Si percepisce benissimo, e si apprezza, l'affiatamento del gruppo degli attori. Nonostante il gioco dei controcampi di Genovese spinga tutti a estremizzare le reazioni non verbali, a esagerare con le faccette, c'è fluidità, e un'intesa che garantisce verosimiglianza. […] 
Forse, più che un testo sui fantasmi e le spade di Damocle della coppia, Perfetti sconosciuti è un film sull'amicizia, tanto quella al maschile quanto quella al femminile (basta stare attenti alle interazioni trasversali alla coppia, e diventa subito ovvio). E, ancora più sotto, un film sull'ipocrisia della società italiana, che passa per i comportamenti, certo, ma anche per il linguaggio.L'ipocrisia di un politicamente corretto che nel film di Paolo Genovese viene accantonato senza proclami, lasciando spazio a un parlare sfacciato e leggero, volgare e pudico, carico di livore, dolore e affetto, e che gravita attorno a un tavolo con spirito davvero scoliano.

Federico Gironi (ComingSoon.it)





22 febbraio
OffiCinema
Il Cinema di Steven Spielberg




Regista e produttore cinematografico e televisivo statunitense, nato a Cincinnati (Ohio) il 18 dicembre 1948. Insieme all'amico George Lucas, ha influito forse più di ogni altro sull'evoluzione del cinema americano degli ultimi vent'anni del 20° sec. e dei primi del 21°, in termini sia di metamorfosi dell'immaginario hollywoodiano sia di sviluppo delle strategie di promozione e marketing dei film. Le sue opere hanno sancito l'affermazione, a Hollywood, di un cinema di genere sino a quel momento prodotto con mezzi limitati e destinato perlopiù a spettatori adolescenti, che improvvisamente è divenuto sofisticato, spettacolare, costoso, ricco di effetti speciali e soprattutto pensato per un pubblico di dimensioni planetarie. La tendenza di S. a indulgere nel sentimentalismo e nella retorica, spesso stigmatizzata dalla critica, nasce dal desiderio di costellare i propri film di situazioni di forte impatto emotivo che risultino, al contempo, in qualche modo universali, in grado dunque di commuovere e coinvolgere varie tipologie di spettatori. È il caso della 'resurrezione' dell'alieno in E.T. the extra-terrestrial (1982; E.T. l'extra-terrestre), dei bambini intrappolati in una stanza insieme a feroci dinosauri in Jurassic Park (1993), dell'epilogo di Schindler's list (1993; Schindler's list ‒ La lista di Schindler), della morte del capitano Miller in Saving private Ryan (1998; Salvate il soldato Ryan). Al di là dell'argomento affrontato, S. ha in sostanza sempre pensato al cinema come a un catalizzatore di grandi sentimenti e forte spettacolarità. Nello stesso tempo, è stato fra i primi a intuire che lo sfruttamento commerciale delle sue opere poteva spingersi oltre i confini della sala e basarsi su un merchandising, fatto di gadget e capi d'abbigliamento che rimandano a situazioni, personaggi e frasi del film. Un'idea che ha avuto a Hollywood un vasto seguito, inaugurando di fatto l'era dei blockbusters, e che si trova mirabilmente sintetizzata nel parco divertimenti di Jurassic Park, geniale esempio di film che esplicita, sul piano narrativo, le medesime strategie di promozione che hanno contribuito a lanciarlo sul mercato. Nella sua carriera, pluripremiata, spiccano i due Oscar per la regia, vinti rispettivamente nel 1994 con Schindler's list e nel 1999 con Saving private Ryan. Nel 1993 alla Mostra del cinema di Venezia gli è stato conferito il Leone d'oro alla carriera.


Sin da giovanissimo mostrò una spiccata predisposizione per il cinema, realizzando una serie di film amatoriali, girati prima in 8 mm e più tardi in 16 mm. Il suo primo film in 35 mm, il cortometraggio Amblin' (1969), attirò l'attenzione della Universal Pictures, che gli offrì un contratto di sette anni per la propria sussidiaria televisiva, la MCA. Realizzò così, nel biennio 1971-72, tre lungometraggi per il piccolo schermo, tra cui l'originale Duel (1971), surreale road movie sul 'duello mortale' in cui si trova coinvolto un automobilista, inseguito da un autotreno; girato in soli sedici giorni e distribuito due anni dopo nelle sale dalla Universal, ottenne un clamoroso successo di critica. Dopo un altro road movie, The Sugarland Express (1974; Sugarland Express), su una giovane coppia in fuga decisa a riprendersi il figlio dato in affidamento, sulle cui tracce si scatenano imponenti forze dell'ordine, arrivò anche il grande successo di pubblico con Jaws (1975; Lo squalo), un thriller sapientemente costruito, che solo negli Stati Uniti incassò 130 milioni di dollari. Da quel momento S. si specializzò nella realizzazione di spettacolari e sofisticati film di fantascienza e d'avventura, che riusciranno puntualmente, a dispetto delle ingenti somme investite dalla produzione, a tradursi in redditizie macchine da intrattenimento. Nel 1977 uscì Close encounters of the third kind (Incontri ravvicinati del terzo tipo), film di grande impatto visivo ‒ gli effetti speciali vi giocano un ruolo di primo piano ‒ in cui S. affronta per la prima volta il tema dell'incontro tra terrestri ed alieni, declinandolo in positivo, attraverso un'altra figura caratteristica del suo cinema, quella della persona normale (Richard Dreyfuss) che diviene protagonista di una vicenda straordinaria. Dopo la parentesi di 1941 (1979; 1941 ‒ Allarme a Hollywood), incursione nel genere comico-demenziale che non riscosse l'atteso successo di pubblico (anche se divenne un cult movie tra le giovani generazioni, grazie soprattutto alla presenza di John Belushi), S. riconquistò le grandi platee con Raiders of the lost ark (1981; I predatori dell'arca perduta), film che inaugura la saga dell'avventuriero-archeologo Indiana Jones (interpretato da Harrison Ford), di cui negli anni Ottanta sarebbero usciti gli altri due fortunati capitoli, Indiana Jones and the temple of doom (1984; Indiana Jones e il tempio maledetto) e Indiana Jones and the last crusade (1989; Indiana Jones e l'ultima crociata), tutti declinati sull'immaginario fumettistico, ma anche costruiti su una sottile ironia di stampo cinefilo.



Il motivo dell'incontro con forme di vita extraterrestri ritorna invece in E.T. the extra-terrestrial, altro film di grandissimo successo, dove l'alieno (il famoso pupazzo creato da Carlo Rambaldi) diviene protagonista, con sorprendenti effetti di immedesimazione. Ha avuto invece un risultato deludente, se non altro dal punto di vista commerciale, il seguente The color purple (1985; Il colore viola), tratto dal romanzo di A. Walker, con cui S. ha affrontato un altro tema significativo della sua filmografia, quello della segregazione razziale, ripercorrendo l'odissea esistenziale della protagonista. Un esito analogo è toccato ai due film successivi, in cui l'epica romantica e sentimentale si sposa con una grande maestria formale: Empire of the Sun (1987; L'impero del sole), tratto da J. Ballard e ambientato durante la Seconda guerra mondiale (un periodo storico su cui S. tornerà a più riprese nel corso degli anni Novanta), e Always (1989; Always ‒ Per sempre), remake di A guy named Joe (1943) di Victor Fleming, in cui S. sperimenta la commistione tra genere sentimentale e fantastico.

Gli anni Novanta sono stati inaugurati dalla regia di Hook (1991; Hook ‒ Capitan Uncino), trasposizione sul grande schermo della favola di Peter Pan, operazione tutt'altro che sorprendente per un regista che ha sempre avuto un occhio di riguardo per i giovani e che ha dichiarato in più di un'occasione di aver sovente realizzato i film che avrebbe voluto vedere da ragazzo. Poi, con l'enorme successo di Jurassic Park, con il quale ha voluto 'riportare in vita' i dinosauri ‒ inaugurando una saga proseguita con The lost world. Jurassic Park (1997; Il mondo perduto ‒ Jurassic Park) diretto dallo stesso S. e con Jurassic Park III (2001) di Joe Johnston ‒ ha rafforzato la sua posizione nell'establishment hollywoodiano. Il 1993 è stato però anche l'anno di Schindler's list, film in bianco e nero sulla Shoah e sul valore della memoria che, nel ricostruire la vicenda di Oskar Schindler (l'industriale nazista che riuscì a salvare più di mille ebrei), ha inaugurato una nuova stagione dedicata dal regista alla rievocazione, in forma comunque spettacolare, di eventi storici traumatici come il dramma dello schiavismo, raccontato con grande partecipazione in Amistad (1997), o lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, grandiosamente ricostruito in Saving private Ryan.



Nel 2001, con A.I. Artificial intelligence (A.I. Intelligenza artificiale), nato da un progetto di Stanley Kubrick, S. è ritornato alla fantascienza esplorando la dimensione inquietante della tecnologia con la storia del piccolo automa abbandonato, alla ricerca della 'madre'. Suggestioni che ritornano in Minority report (2002), dall'omonimo racconto di Ph.K. Dick, dove si descrive una società del futuro in cui regna la giustizia preventiva, e da cui emergono profeticamente i lati oscuri del mondo globalizzato. È invece ambientato negli Stati Uniti degli anni Sessanta, ma altrettanto critico nei confronti della società americana, Catch me if you can (2002; Prova a prendermi), commedia malinconica ispirata alla leggendaria ma reale vicenda di Frank Abagnale Jr, geniale truffatore, capace di sfruttare a suo vantaggio gli inganni dell'apparenza e di tenere in scacco per anni il FBI.

I successi ottenuti come regista hanno consentito a S. di giocare un ruolo da protagonista anche in ambito produttivo, fin dal 1984, anno in cui ha fondato la Amblin Pictures, società con cui ha finanziato, tra gli altri, film come Poltergeist (1982; Poltergeist ‒ Demoniache presenze) di Tobe Hooper, Gremlins (1984) di Joe Dante, Back to the future (1985; Ritorno al futuro) di Robert Zemeckis e Who framed Roger Rabbit (1988; Chi ha incastrato Roger Rabbit) diretto ancora da Zemeckis. Nel 1994 S. ha dato vita ‒ insieme a Jeffrey Katzenberg e David Geffen ‒ alla DreamWorks SKG, uno studio hollywoodiano pensato e concepito sul modello delle vecchie majors, da cui sono usciti film di grande successo.

Da ricordare anche l'iniziativa della Shoah Foundation, avviata da S. nel 1994, dopo la realizzazione di Schindler's list, e dedicata alla raccolta e all'organizzazione di un vasto archivio di testimonianze audiovisive per far conoscere la tragedia dei campi di sterminio nazisti attraverso le interviste agli ebrei sopravvissuti.

Leonardo Gandini

(Enciclipedia del Cinema Treccani)


1 marzo
Sole alto
di Dalibor Matanic







Sole alto
(Zvizdan)
di Dalibor Matanic
Con Goran Marković, Tihana Lazović, Nives Ivanković
Croazia/Serbia/Slovenia, 2016
Durata: 123'
Drammatico

Tre storie differenti tra di loro, ma tutte incentrate su un amore proibito. Ambientate in due villaggi della Bosnia e in un arco temporale di tre decenni (1991, 2001 e 2011).



Sono i contrasti evidenti a rafforzare il racconto del quarantunenne Dalibor Matanic, già autore di diversi lungometraggi ma consacratosi a livello internazionale solo adesso con Sole alto, Premio della Giuria a Cannes 2015, sezione Un Certain Regard. Il sole splende su un fazzoletto di terra balcanica, tinteggiando la macchia mediterranea come in un dipinto impressionista, illumina l’orizzonte spigoloso della terra dalmata, scalda le acque a noi familiari dell’Adriatico, indifferente all’odio interetnico, all’inspiegabile follia umana, alla tragedia del conflitto. Matanic sceglie l’amore declinato in tre storie diverse, a distanza di dieci anni una dall’altra, per raccontare le conseguenze della guerra, anzi delle guerre, perché – come afferma l’autore, regista e sceneggiatore - a ogni latitudine si consumano le stesse tragedie, originate da futili incomprensioni, da cieche discriminazioni, dalla scarsa tolleranza per le diversità, che diventano poi baluardi nelle lotte politiche. Senza ricorrere a sequenze belliche, lontano anzi dai teatri di guerra, lasciati fuori campo, il regista dipana un filo narrativo robusto per collegare momenti diversi della recente storia di quella che fu la Jugoslavia. (…) Matanic diventa un burattinaio, utilizza le stesse marionette per innescare nel terzo atto un augurante futuro, una terza possibilità tra due personaggi che si sono rincorsi e che nonostante i terremoti della Storia si ritrovano per chiudere il cerchio nell’amore reciproco. Ma, come non accadeva in Prima della pioggia, è un cerchio che chiudendosi trova coincidenza, perché, se nel 1994, in piena guerra civile, la ragione lasciava il posto all’incubo mettendo in crisi la percezione di spazio e tempo, adesso, che il sole alto è tornato a splendere sui Balcani, il tempo è un amico che definisce ripartenze. Se per Manchevski la pioggia arrivava sul finale a lavare temporaneamente i peccati degli uomini, per Matanic il tramonto è speranza di un sonno sereno e ristoratore.

Alessandro Leone (Il Ragazzo Selvaggio n. 117)








8 marzo

La grande scommessa
di Adam McKay








La grande scommessa
(The Big Short)
di Adam McKay
con Christian Bale, Steve Carell, Ryan Gosling
Usa, 2015
Durata: 130'
Drammatico

Il film, ispirato ad eventi e personaggi reali, segue le storie simultanee di tre gruppi di persone che scoprono l'arrivo della crisi finanziaria del 2007-2010 e scommettono sul suo avvento, ricavandone enormi profitti.


Sono due gli ostacoli con cui si è voluto confrontare il regista Adam McKay nel suo La grande scommessa. Portare sul grande schermo il saggio di Michael Lewis The Big Short – Il grande scoperto e trasformare una trattazione tecnica dell’alta finanza statunitense in un racconto teso, ben giostrato, in cui emerge la coralità dell’azione e la solitudine dell’intuizione. La scommessa del titolo, infatti, è quella contro il sistema messa a segno da alcuni analisti finanziari, banchieri, giovani speculatori e vecchi geni di Wall Street che, ognuno a modo suo, scoprono le incongruenze del mercato immobiliare americano, considerato il settore più solido dell’intera economia. Senza soffermarsi esclusivamente sui tecnicismi inafferrabili, McKay prende dei personaggi reali, in una storia reale, e ne fa un affresco ampio, dove, però, tutti i punti sono facilmente riconducibili al discorso di partenza e alla tesi finale. Niente tecnicismi fini a se stessi, niente virtuosismi di parole e immagini, ma un approccio lucido, chirurgico, di scomponimento e ricostruzione minuta dei fatti attraverso la loro amplificazione. 
Come fosse una commedia demenziale (e infatti McKay ha una solida esperienza in campo, come collaboratore di Will Ferrell e del Saturday Night Live, e regista di film come Fratellastri a 40 anni, Poliziotti di riserva, Anchorman) cui viene abilmente sottratto l’effetto non sense. Perché è tutto vero e tutto folle. E così lo sguardo in macchina dei diversi “attori” permette allo spettatore di entrare letteralmente nei meccanismi contorti e di apprendere in modo semplice come sono andate le cose, con la più banale delle leggi secondo cui ogni gesto, non solo produce un effetto, ma ha delle conseguenze nel tempo e nello spazio. Al posto del ghigno soddisfatto, ci resta, così, il suo esatto opposto. L’amara consapevolezza di essere complici o spettatori della catastrofe economica. Con un colpo da maestro, McKay evita ogni tipo di retorica, al punto che i suoi “guerrieri senza macchia”, i cosiddetti sabotatori del sistema finiscono per trarre profitto da un evento che toglierà casa e lavoro a migliaia di persone.


Grazia Paganelli (Duels.it)