Le schede critiche dei film in programma

Cari Amici,
dopo avervi fornito i trailer e le immagini di tutti i film in programma nel corso della Stagione 2008/2009 del nostro Cinecircolo, ci sembra opportuno offrirvi qualche spunto di approfondimento critico e informativo in più.
Ecco dunque le schede critiche dei nostri film.
Per gli incontri di OffiCinema, vi diamo appuntamento alle date di programmazione per ulteriori notizie.

VI RICORDIAMO CHE GLI SPETTACOLI SONO ALLE 17.45 E 21.15.
GLI INCONTRI DI "OFFICINEMA" SONO INVECE ALLE ORE 17.45

Buona lettura e Buone Visioni.

28 novembre
Non pensarci
di Gianni Zanasi
Con Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston
Italia, 2007
105’

Stefano, chitarrista rock di una band rimasta temporaneamente senza vocalist, torna a casa per una vacanza e deve far fronte ai problemi e ai drammi insoluti di una realtà da cui aveva preferito staccarsi e che ora gli ripiomba letteralmente addosso con esiti grotteschi.

“Ho paura che questo non sia un film rigoroso”, scrive Gianni Zanasi nelle note d’autore che accompagnano Non pensarci e spiazza d’un colpo lo scenario di un cinema italiano in cui la leggerezza sembra un difetto, la levità una debolezza. Lui invece è uno che leggerezza e levità lì coltiva, fa un cinema in cui l’irriverenza, la mitezza, la gioiosità – tutti contrari di rigore… – sono di casa. Non pensarci ne è la prova, anzi la conferma, perché Zanasi lo conosciamo da tempo, col suo cinema apparentemente distratto, un po’ come quei ragazzi che a scuola sembrano sempre disattenti e poi ti stupiscono con sortite e osservazioni che dimostrano che hanno capito molto più e meglio dei secchioni del primo banco… Nella mischia (1995), Fuori di me (1999), un po’ meno A domani (1999), sono tutti film che, come Non pensarci, sfiorano la realtà non tanto in cerca quanto in perdita di verità, perfettamente scentrati rispetto al falso baricentro problematico di un mondo che corre.
Le situazioni si accumulano, ma Zanasi le gestisce come fossero scritte su carta velina lasciata in balia del vento, non appesantisce mai nulla, neanche i personaggi, che pure non perdono mai di consistenza, ma anzi acquistano una vivacità umana che, se è anti-drammatica, è anche anti-realistica, ma trova sempre la giusta consistenza psicologica e non disperde mai la sostanza drammaturgica delle azioni e delle figure in campo.
In effetti, la cifra che maggiormente colpisce in un film come Non pensarci è quella che rifugge dalla ricerca di mimesi drammatica nei confronti della realtà. Zanasi adotta semplicemente e perfettamente lo stile della commedia, ma lo performa come fosse una fatalità in cui il film lascia inciampare il vissuto di un personaggio chiaramente (anche se non dichiaratamente) in crisi.
(Massimo Causo - Panoramiche)


5 dicembre
Un bacio romantico
(My Blueberry Nights)
di Wong Kar-wai
Con Norah Jones, Jude Law, Natalie Portman, David Strathairn, Rachel Weisz
HK/Cina/Francia, 2007
95’

New York. Lizzie è sola in una pasticceria e la particolare complicità di un momento con il proprietario Jeremy la spinge ad affrontare il mondo, e a farle conoscere tante storie di solitudine e sentimenti, finché il viaggio non la riporterà al punto di partenza.

Non sorprende affatto constatare come Wong Kar-Wai riesca a compiere quell’operazione di innesto delle proprie coordinate artistiche nel cinema occidentale che a molti colleghi invece non è riuscita: perché in fondo il suo cinema ha sempre tradito una tensione universale e cosmopolita in grado di attecchire tanto nelle metropoli dell’Est quanto in quelle dell’Ovest. In fondo Un bacio appassionato è un film di forze divergenti, così aderente all’iconografia americana da sembrare poco personale, ma invece capace di veicolare sottotraccia le ossessioni tipiche del Wong Kar-Wai migliore, quello che più di dieci anni fa ci stupiva con lo splendido dittico formato da Hong Kong Express e Angeli perduti.
La solitudine in primo luogo, una sorta di sentire comune che immalinconisce naturalmente ogni personaggio e lo rende un’icona danzante in una città-proscenio, testimone e prolungamento del malessere. La misura della distanza fra i personaggi è data ancora una volta dagli oggetti: la torta di Jeremy, le chiavi di Lizzie, il gettone di Arnie, l’auto di Leslie sono anch’essi personaggi della storia, sono il territorio che misura il progressivo sfiorarsi di queste anime sole in cerca del proprio posto nel mondo. E se nei suoi precedenti lavori Wong Kar-Wai lasciava il racconto slabbrato, preferiva imbastire delle situazioni senza cercare una struttura narrativa in grado di garantire la quadratura del cerchio, stavolta i meccanismi del cinema occidentale lo spingono a osare una narrazione più compatta, ma senza snaturamenti, in un divertente gioco di mimesi che lo porta di volta in volta a contraddire o ossequiare le aspettative dello spettatore occidentale.
(Davide Di Giorgio)


12 dicembre
Pranzo di ferragosto
di Gianni Di Gregorio
Con Valeria De Franciscis, Gianni Di Gregorio, Marina Cacciotti, Maria Calì, Grazia Cesarini Sforza
Italia, 2008
75’

Il cinquantenne Gianni si ritrova costretto a tenere in casa a Ferragosto, insieme all’anziana e volitiva madre, anche altre signore che renderanno la giornata una piccola avventura.

Alla recente Mostra di Venezia, ha costituito un inatteso motivo di curiosità ed ha dato origine a un piccolo caso. Ha ricevuto anche diversi riconoscimenti, fra cui il “Premio De Laurentiis” per la migliore opera prima. Selezionato e presentato alla “Settimana della critica”, “Pranzo di ferragosto” ha indubbiamente molti meriti. Una caratteristica di fondo è il sofferto carattere autobiografico del film, che a quanto si capisce è girato nella stessa abitazione trasteverina del regista. Del resto tutto il film è molto capitolino, a cominciare dalla presenza di Di Gregorio, il quale riesce a spalmarvi sopra la sua sottile romanità, ribadita dall’accento, dal vocabolario e ancor più dal suo volto che in linea di massima è molto generico e senza severe collocazioni etniche, ma che è anche animato da una sorta di arresa arrendevolezza parastatale, grazie alla quale il personaggio diventa compiuto e coerente.
Si sente che il film è opera di uno sceneggiatore improvvisatosi regista, ma si sente anche il gusto della piccola opera esatta e rifinita, del piacere di un aneddoto breve ma civile, di un elzeviro inatteso in un momento in cui il cinema italiano è prevalentemente magniloquente e ammonitorio o soltanto furbesco. È un film pieno di trovate minime ma garbate: si veda il rapporto fra Gianni, ormai uomo di casa da molti anni, con la cucina e il vino bianco, di cui fa un consumo affettuoso e continuo secondo le tradizioni proletarie di una città ove il vino rosso è sempre stato considerato con sospetto.
(Claudio G. Fava - Emme – Modena Mondo)

Ogni anno a Venezia c’è un "caso": quest’anno è stato il turno del Pranzo di Ferragosto di Gianni Di Gregorio, inserito nella Settimana internazionale della critica. Il film segna l’esordio alla regia per questo autore, stretto collaboratore di Matteo Garrone, ed è un’opera tanto semplice quanto onesta.
Premiato con il premio De Laurentis quale miglior opera prima, questo film ha l’indubbio pregio di offrire esattamente quanto promette, senza creare particolari aspettative. Con una recitazione molto vicina alla filodrammatica, ed una regia che, ricorrendo al frequente uso della macchina a mano, tenta di staccarsi dall’impianto sostanzialmente teatrale della sceneggiatura, il film ci introduce di nuovo in un mondo di personaggi quasi archetipici della commedia all’italiana: i romani sfaccendati, che trascinano la loro esistenza tra discussioni banali e "bianchetti" all’osteria, e le vecchiette capricciose ed ancora in gamba. De Gregorio si rivela un attore molto adatto al ruolo del figlio che, volontariamente, si fa vessare dalla madre, anche se, a volte, si comporta più come regista che come personaggio. Nel film vi sono molte situazioni divertenti, anche se, forse, la più sottile ed indovinata è la parodia al viaggio in scooter di Nanni Moretti, per le vie deserte di una Roma ferragostana, alla prosaica ricerca di un pesce da cucinare.
Costato molto poco per un’opera produttivamente strutturata ("appena" 500.000 euro), Pranzo di Ferragosto è un esempio di come, con una buona idea e un minimo di organizzazione, si possano realizzare opere gradevoli, non proprio banali, che trovano subito il favore del pubblico.
(Luigi Nepi – Drammaturgia.it)


9 gennaio
Il matrimonio di Lorna
(Le silence de Lorna)
di Luc e Jean-Pierre Dardenne
Con Arta Dobroshi, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Alban Ukaj, Morgan Marinne
Francia, 2008
105’

Lorna è una ragazza albanese che sogna di diventare proprietaria di un bar assieme all’uomo che ama e, per ottenere la nazionalità belga, si adatta a fare un falso matrimonio con Claudy, un delinquente locale. Ma l’uomo in realtà vuole farla sposare a un boss russo.

Se fino a ieri lo stile dei Dardenne (macchina a mano in movimento, semisoggettiva sulla o sul protagonista) si era pietrificato e aveva fatto storia (e tendenza), con Le silence de Lorna avvengono leggeri smottamenti strutturali. Per seguire negli anfratti di Liegi una tranche de vie della giovane immigrata albanese Lorna (Arta Dobroshi), i Dardenne si affidano improvvisamente alla parola, al dialogo, all'esplicazione dei concetti attraverso le battute recitate. Viene così a mancare una buona dose di veicolazione di senso, esasperato tratto distintivo del loro cinema affidatosi quasi totalmente alla lente della macchina da presa.
Il dramma di Lorna, sballottata sentimentalmente tra affetti e relazioni, tra macroesperienza politica (lo schiavismo e il ricatto dell'immigrata) e microesperienza individuale (i differenti impulsi provati verso un mondo di uomini violenti, incapaci, sfruttatori) diventa un soggetto femminile neorealistico a tutto tondo. E per raccontarlo non serve più il pedinamento ossessivo del classico Dardenne touch, ma quadri d'insieme, scappatoie narrative sfiorate per arricchire la tragedia del singolo. (…) Per Lorna il denaro è mezzo e fine dell'esistenza, elemento mancante e ricercato, messo sotto lucchetto per paura che venga rubato. Una rappresentazione ossessiva di un dato reale che porta sempre ad una tragica non soluzione. Anche se poi i Dardenne all'improvviso negli ultimi minuti di film fanno rivivere la loro eroina vagamente bressoniana: la pedinano da dietro, la lasciano affidarsi all'istinto, alla fuga in avanti verso un'indipendenza spirituale più sentita e compiuta. Probabile inizi un altro film, probabile sia il colpo d'ala per dirci che in fondo i Dardenne sono sempre loro e per l'ennesima volta hanno girato un piccolo capolavoro.
(Davide Turrini – Liberazione)

Meno concitate, meno rabbiose del solito (la cinepresa super 16mm è stata rimpiazzata da una più pesante 35mm), le inquadrature dei fratelli Dardenne stanno incollate alla tenacia di Lorna, oggetto che lotta per farsi soggetto, corpo che accumula ed elabora il dolore. Il matrimonio di Lorna è l’ennesimo racconto morale dei fratelli valloni, ma, a differenza de La promesse o L’enfant, l’evento che schiaffa di fronte allo shock della responsabilità è stato sostituito dalla gradualità dell’elaborazione etica. Lorna è considerata oggetto di scambio, meccanismo di un ingranaggio economico da cui lei stessa trae vantaggio: comprare il matrimonio, liquidare il marito tossico inducendolo a un’overdose e risposarsi subito dopo con un extracomunitario come lei fa parte di una logica schiacciante che non lascia spazio a scrupolo alcuno. Eppure Lorna vive insieme a Claudy, assiste quotidianamente alla sua snervante fragilità, alle sue patetiche richieste d’aiuto. Improvvisamente Lorna si spoglia e si avvicina a Claudy con disarmante, incondizionata gratuità, aprendosi così ad un altro modo di concepire i rapporti: è uno dei passaggi più toccanti e rivoluzionari (proprio così, rivoluzionari) che il cinema contemporaneo abbia prodotto. Nel chiuso di un appartamento di Liegi si consuma un attentato alla logica economica che condiziona i rapporti sociali, segnando così il definitivo ed irreparabile strappo tra la protagonista e il mondo che la circonda. In questo solitario percorso di rigenerazione morale, i Dardenne sottraggono i nuclei drammatici più eclatanti e tracciano una narrazione di lancinante essenzialità, lasciando agli spettatori la facoltà di colmare le lacune e ricostruirne personalmente il senso. Premio per la miglior sceneggiatura al 61° Festival di Cannes.
(Alessandro Baratti – Gli spietati)


16 gennaio
Grace is Gone
(id.)
di James C. Strouse
Con John Cusack, Shelan O’Keefe, Gracie Bdenarczyk, Alessandro Nivola
Usa, 2007
85’

Stanley Phillips, ex-militare in congedo, apprende che sua moglie Grace, arruolatasi volontaria in Iraq, è morta in un’azione militare. Distrutto dalla perdita, Stanley deve rivelare la tragica verità alle sue due giovani figlie.

Grace is Gone, opera prima di James C. Strouse, già sceneggiatore dell’ottimo Lonesome Jim, aggiunge allo stile indie e alla tematica del viaggio “di crescita” argomentazioni attuali e dure, relative non tanto a chi la guerra la sta combattendo, ma a coloro che, per una ragione o per l’altra, la “vivono” con tensione e dolore da casa.
Il film non dimentica di inserire una tematizzazione delle problematiche ideologiche relative al conflitto. Sebbene le convinzioni di Stanley siano un aspetto accessorio rispetto al dramma in atto, sarà un incontro con il fratello minore (un efficace Alessandro Nivola) a offrire l’occasione per uno scontro di opinioni. Se infatti Stanley e sua moglie avevano ritenuto giusto arruolarsi per andare a combattere, il più giovane e aitante Jack reputa la guerra sbagliata, disconosce Bush come “suo” presidente, ma non è mai andato a votare. L’America di Bush ha forse perso la “grazia” e con essa anche la fede in un conflitto armato evidentemente sbagliato, e Grace Is Gone, senza indulgere troppo in dissertazioni ideologiche, riesce a ritrarre con successo le conseguenze più intime di una politica estera errata. Non si tratta dunque di un film politico, quanto piuttosto del ponderato resoconto di una tragedia familiare, dove John Cusack ha modo di regalarci una delle sue migliori interpretazioni e Strouse di tessere abilmente una delicata elaborazione del lutto e dell’assenza, dove la figura della madre, immobile come nella foto nuziale, si fa cardine drammatico asciutto e raggelante.
Sorpresa nei credits, le musiche sono firmate da un compositore d'eccezione quale Clint Eastwood, per la prima volta al lavoro come autore di colonne sonore per un film non suo.
(Daria Pomponio – CinemAvvenire)


6 febbraio
Juno
(id.)
di Jason Reitman
Con Ellen Page, Michael Cera, Jason Bateman, Jennifer Garner, J.K. Simmons
Usa, 2007
95’

Adolescente anticonformista, Juno resta incinta dopo il primo rapporto sessuale e decide di trovare una coppia di genitori cui affidare il suo “fagiolo”.

Premiato agli Oscar per la miglior sceneggiatura originale, prodotto dalla Fox Searchlight (cioè dalla società della Fox specializzata in film a basso budget, perché va bene fidarsi dei nuovi talenti ma sempre con juicio), Juno è il tipico prodotto hollywoodiano in «stile Sundance», dove il ritmo delle battute, l'anticonformismo giovanilista e la simpatia degli interpreti concorrono a realizzare un film simpatico, furbetto e piacevole, che scorre via come l'acqua fresca d'estate.
La trovata più indovinata dell'operazione è la scelta del soggetto: puntare su un fatto considerato genericamente negativo (restare incinta al primo rapporto) e raccontarlo con tutto l'umorismo e l'ironia possibili. Merito indubbio della sceneggiatrice esordiente Diablo Cody (all'anagrafe Brook Busey, classe 1979) di cui ormai tutti conoscono il passato prima come spogliarellista e poi come telefonista erotica. Esperienze buone per aumentare la propria conoscenza della natura umana e probabilmente per costruirsi quel bagaglio di sarcasmo e simpatica strafottenza che caratterizza il personaggio di Juno, la protagonista della sua prima sceneggiatura.
La scrittura di Diablo Cody e la messa in scena di Jason Reitman (figlio del regista di Ghostbusters e già apprezzato per Thank You for Smoking) tendono a smussare qualsiasi elemento di attrito per poter meglio esaltare lo spirito anticonformista della protagonista. Le confidenze con l'amica del cuore, le schermaglie con il compagno di esperienze sessuali, la confessione del proprio stato ai genitori, l'incontro con l'agiata coppia di genitori adottivi sono tutti costruiti secondo un unico, collaudatissimo schema: offrire a Juno la possibilità di mettere in mostra il proprio blando anticonformismo e la propria simpatica esuberanza.
(Paolo Mereghetti – Il Corriere della Sera)


13 febbraio
Il falsario – Operazione Bernhard
(Die Fälscher)
di Stefan Ruzowitzky
Con Karl Markovics, August Diehl, Devid Striesow, Martin Brambach, August Zirner
Germania/Austria, 2007
98’

Ispirato a fatti realmente accaduti, la vicenda di un tipografo e un falsario che dopo essere stati rinchiusi in un campo di concentramento nazista vengono poi aggregati a una squadra speciale con l’incarico di falsificare, a scopi bellici, valuta inglese e americana.

Il miracoloso equilibrio conservato dal film deve molto, probabilmente, alla variegata esperienza cinematografica del suo autore. Tra i registi dell’area germanica (Il falsario è per inciso una coproduzione austro-tedesca) Ruzowitsky si è finora distinto per un certo eclettismo. Qualunque sia il grado di parentela che leghi il modus operandi del “padronato” in The Inheritors (1998), la setta di medici anti-ippocratici combattuta da Franka Potente nell’horror Anatomy (2000), e la combriccola di SS che agisce nella nuova pellicola, vi è in opposizione un’istanza libertaria impossibilitata ad acquisire una forma definitiva, che per quanto riguarda Il falsario si trasferisce nei conflitti di coscienza e nelle differenze di temperamento dei deportati. Se nella cornice pre e post-bellica il regista austriaco si concede un tratto calligrafico, persino eccessivo in certi momenti, recupera poi incisività e asciuttezza nel descrivere la quotidianità del lager. Pellicola leggermente sgranata. Raggelanti esecuzioni sommarie in campo lungo. Recitazione molto fisica degli attori, visibilmente coinvolti. Ed è così che realismo della messinscena ed esigenze ritmiche di un racconto dai risvolti insoliti si fondono, lasciando spazi di riflessione intorno all’operato di un falsario di professione e di un tipografo idealista, ugualmente travolti da una dialettica feroce che non lascia scampo alle illusioni: quella della svastica, in base alla quale gli uomini vengono arbitrariamente ripartiti nelle colonne dei sommersi e dei salvati.
(Stefano Coccia – Gli spietati)


27 febbraio
La classe
(Entre les murs)
di Laurent Cantet
Con François Bégaudeau, Passim Amraby, Laura Baquela, Cherif Bounaidja Rachidi
Francia, 2008
128’

Il racconto di un anno scolastico e di un professore alle prese con la sua classe.

Laurent Cantet adatta il libro di François Bégaudeau che ha scritto della sua esperienza come professore ed è anche il protagonista della pellicola. Il piccolo microcosmo di una classe multietnica diventa cassa di risonanza di tutte le questioni sulle quali la società occidentale deve ormai confrontarsi. Rapporto con il sapere e la sua trasmissione, ma anche rapporto con il potere, con un certo ordine sociale. Il regista segue la sua classe per tutto l’anno scolastico nella periferia parigina. Lavora per la prima volta nella sua carriera con il digitale HD con almeno tre punti di vista che continuamente s’intrecciano: il primo punta su François, il professore che lasciava la parola ai suoi allievi, il secondo sui ragazzi della classe e il terzo è alla ricerca continua di tutti i dettagli degli sguardi, delle assenze di sguardi. Avere tre prospettive che si muovono simultaneamente genera in tempo reale quadri di raccordo e il ritmo del narrato. Richiesta del diritto ad una corretta rappresentazione delle cose. La banlieue di Parigi non è solo quella di Kassovitz e rivendica una vita “normale” fuori per una volta dai clichè violenti dove si muore e si uccide all’unisono. La banlieue può rivivere anche in una favola che riflette sull'appartenenza a una comunità e sui rapporti etnici: un cinema magari più vicino alle prime commedie politiche di Robert Guédiguian. Cantet dimostra dimestichezza e agilità stilistica tra docu-film e formato fiction che tanto ricorda i fratelli Dardenne, senza però farsi “schiacciare” dalla macchina da presa. Schivate estetiche “accentratrici” non comunicanti, lo sguardo del regista si chiude accrescendo paradossalmente la tolleranza reciproca tra territorialità a superficie ridotta e congestionamento visivo.
(Leonardo Lardieri – Sentieri Selvaggi)


6 marzo
Parigi
(Paris)
di Cédric Klapisch
Con Juliette Binoche, Romain Duris, Fabrice Luchini, Albert Dupontel, François Cluzet
Francia, 2008
130’

Parigi e la gente che la vive, ognuna alle prese con grandezze e piccolezze della vita, ognuna a chiedersi il senso delle cose.

Klapisch fa forza su una sensibilità che lo aiuta, come lo ha quasi sempre aiutato fin dai tempi di Aria di famiglia, a non addensare le sequenze con sovraccarichi di emozioni. Un’attenzione che lo invita a semplificare, a rispettare il ritmo “in levare” delle vicende. Così, il film si trova “tra” le storie quanto “nelle” storie: e di spazi ce ne sono molti, tra le ansie, i desideri, le gioie e le paure di tutte quelle vite che scorrono, minuscole gocce di sangue nel cuore di Parigi.
La città è sfondo, cornice, sottotitolo, fuoricampo: esagerata e caotica, come in alcune delle immagini iniziali, oppure frusciante, operosa, come nello zoom di chiusura. Non è la protagonista di un film che avrebbe potuto intitolarsi in mille altri modi. Parigi è film sincero di personaggi, di sensazioni, di calore umano, esaltati dalle interpretazioni partecipate di tutti gli attori, a partire dalla Binoche, da Luchini, da Duris – finalmente libero dallo Xavier de L’appartamento spagnolo – fino ai volti meno noti in Italia, come quello del fruttivendolo Dupontel. Personaggi rispettati, nelle loro tipicità umane, da una messa in scena delicata, nel trattare i toni del comico come in quelli del tragico. Come a dire che la vita, nei momenti migliori come in quelli bui, andrebbe trattata con serietà e leggerezza allo stesso tempo. Klapisch ci riesce, schiva i luoghi comuni, allontana la morbosità degli sguardi troppo penetranti, evita il livore delle tragedie e ti fa affezionare.
Pierre (Duris), mentre in taxi va all’appuntamento della sua vita, ride. Chissà che fine farà. Chissà che fine farò, ti chiedi quando esci dal cinema, mentre Pierre e tutte quelle altre persone un po’ ti mancano.
(Umberto Martino – Sentieri Selvaggi)


20 marzo
L’innocenza del peccato
(La fille coupée en deux)
di Claude Chabrol
Con Ludivine Sagnier, Benoît Magimel, François Berléand, Mathilda May, Caroline Sihol
Francia/Germania, 2007
114’

L'educazione sentimentale della giovanissima giornalista televisiva Gabrielle, che perde la testa per il maturo e ambiguo scrittore Charles, in una spirale di perversione sentimentale che la schianterà e ne annienterà le difese.

Teorema (imperfetto): l'impossibile unità tra passione e ragione, cuore e cervello.
L'ennesima prova della maturità di Claude Chabrol ha i caratteri del noir borghese, e in questo senso si inserisce con coerenza nel solco tracciato dagli ultimi lavori del maestro francese, da Grazie per la cioccolata a Il fiore del male fino a La damigella d'onore.
L'innocenza del peccato - didascalica traduzione del titolo per l'originale "La ragazza tagliata in due" - segna però un ulteriore passo in avanti nel cesello psicologico del mondo della provincia, microcosmo dove Chabrol fa convivere il minimalismo della quotidianità e il massimalismo dell'amour fou.
Si cresce con sofferenza, veniamo tagliati in due dall'amore e alla fine non c'è consolazione.
Ogni immagine, ogni inquadratura resta impressa nell'occhio per un secondo in più di quello che ci aspettiamo, per una frazione temporale, con un movimento di ritardo, ogni inquadratura è una lacerazione tra testa e cuore, tra ragione e passione, il teorema del maestro è svolto con lucidità, ma anche con pancia, cuore, sangue.
Non a caso il lungo piano sequenza iniziale è virato in un cupo rosso sangue, e a ogni scarto narrativo seguono una conferma e uno spiazzamento.
Non ha paura di essere sentimentalmente estremo il cinema di Chabrol, di esplorare l'animo umano (e il cervello) e di dimostrare che non c'è unità ma costante compenetrazione, sovrapposizione di piani, punti vista migranti.
E al suo servizio c'è un cast di attori così bravi, perfino straordinari nella loro naturalezza e nella loro misura, così intensi da rendere perfetto il teorema imperfetto del maestro.
(Paolo Bignamini – Il Sole 24 Ore)

La Stagione CInematografica 2008 / 2009

Cari Amici,

anzitutto benvenuti nel blog del Cinecircolo Casalini di Taranto.

La prima cosa che ci preme comunicarvi è che il 28 novembre s’inaugurerà la consueta Stagione Cinematografica del nostro Cinecircolo, un appuntamento che i cinefili tarantini attendono sempre con affetto.


La Stagione Cinematografica 2008/2009, che procederà sino al 20 marzo, prevede 13 incontri dedicati al cinema di qualità, con altrettanti film selezionati per trascorrere insieme momenti sereni e anche di riflessione.
Parte integrante del programma sono i tre appuntamenti di "OffiCinema", che quest’anno approfondiranno le personalità artistiche di Anna Magnani, Sean Penn e Julian Schnabel.

Questo in dettaglio il programma della Stagione 2008/2009 del Cinecircolo Casalini:

28/11 Non pensarci di Gianni Zanasi
con Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston (It. 2007 – 105’)



05/12 Un bacio romantico di Wong Kar-wai
con Norah Jones, Jude Law, David Strathaim, Rachel Weisz, Natalie Portman (HK/Cina/Fr. 2007 – 95’)


12/12 Pranzo di Ferragosto di Gianni Di Gregorio (It. 2008 – 75’)


09/01 Il matrimonio di Lorna di Luc e Jean-Pierre Dardenne
con Arta Dobroshi, Jérémie Renier (Fr. 2008 – 105’)


16/01 Grace Is Gone di James C. Strouse
con John Cusack (Usa 2007 – 85’)


23/01 OffiCinema: Omaggio ad Anna Magnani


06/02 Juno di Jason Reitman
con Ellen Page, Michael Cera, Jason Bateman (Usa 2007 – 95’)


13/02 Il falsario di Stefan Ruzowitzky
con Karl Markovics, August Diehl (Germ/Austr 2007 – 98’)


20/02 OffiCinema: Omaggio a Sean Penn


27/02 La classe, di Laurent Cantet
con François Bégaudeau (Fr. 2008 – 128’)


06/03 Parigi, di Cédric Klapisch
con Juliette Binoche, Romain Duris (Fr. 2008 – 130’)


13/03 OffiCinema: Omaggio a Julian Schnabel


20/03 L’innocenza del peccato, di Claude Chabrol
con Ludvine Sagnier, Benoît Magimel (Fr./Germ. 2007 – 114’)


Vi ricordiamo che le proiezioni sono alla Sala Chaplin (in Via Plateja 142) e che gli spettacoli sono due, alle ore 17.45 e 21.15. Vi ricordiamo che gli incontri di "OffiCinema" sono pomeridiani e avranno inizio alle ore 17.45.
La quota sociale per gli adulti è di 33,00 Euro, mentre per gli studenti è di 27,00 Euro.


Le tessere sono disponibili presso la sede del Cinecircolo e la segreteria del Consultorio "Il Focolare" (primo piano) o presso la Libreria Dickens, in Via Medaglie d'Oro 129.


In attesa di ritrovarci,


cordiali saluti.





Le foto di tutti i film in programma


Questo post è dedicato agli
amici della Stampa.

Di seguito trovate le foto in alta definizione di tutti i film in programma nella Stagione Cinematografica 2008/2009 del Cinecircolo Casalini.

Cliccate sulle immagini e si apriranno le foto in alta definizione dei singoli film, ottime per le esigenze di stampa della vostra testata.


Grazie per la collaborazione e buon lavoro.


FOTO IN ALTA RISOLUZIONE

28/11 Non pensarci di Gianni Zanasi









05/12 Un bacio romantico di Wong Kar-wai










12/12 Pranzo di Ferragosto di Gianni Di Gregorio











09/01 Il matrimonio di Lorna di Luc e Jean-Pierre Dardenne










16/01 Grace Is Gone di James C. Strouse








23/01 OFFICINEMA: Omaggio ad Anna Magnani














06/02 Juno di Jason Reitman










13/02 Il falsario di Stefan Ruzowitzky









20/02 OFFICINEMA: Omaggio a Sean Penn









27/02 La classe, di Laurent Cantet









06/03 Parigi, di Cédric Klapisch













13/03 OFFICINEMA: Omaggio a Julian Schnabel










20/03 L’innocenza del peccato, di Claude Chabrol