Cinecircolo Casalini
Stagione Cinematografica 2013 / 2014

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RASSEGNA CINEMATOGRAFICA
( Orari degli spettacoli: 18,00 – 21,15 )

8/11/13
A Lady in Paris
di Ilmar Raag
con Jeanne Moreau, Laine Mägi, Patrick Pineau 
(Bg./Fr. 2012 – 94')

15/11/13
Il castello nel cielo
di Hayao Miyazaki
(Jp. 1986 – 124')

22/11/13
Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti
con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth 
(It. 2013 - 110')

29/11/13
Nella casa
di François Ozon
con Fabrice Luchini, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner 
(Fr. 2012 – 105')

6/12/13
Tutti pazzi per Rose
di Régis Roinsard
con Romain Duris, Bérénice Bejo, Miou-Miou 
(Fr. 2012 – 111')

13/12/13
Quando meno te lo aspetti
di Agnès Jaoui
con Jean-Pierre Bacri, Agathe Bonitzer 
(Fr. 2013 – 112')

20/12/13
Bling Ring
di Sofia Coppola
con Emma Watson, Leslie Mann, Taissa Farmiga 
(Usa 2013 – 90')

O F F I C I N E M A
(Incontro unico alle ore 18,30)

17/1/14 
 Omaggio a Steven Spielberg

31/1/14 
 Omaggio a Giuseppe Tornatore

7/2/14
Omaggio a Fabio Volo

21/2/14 
 Omaggio a Jennifer Lawrence

7/3/14 
 Omaggio a Alfred Hitchcock [1]

14/3/14 
 Omaggio a Alfred Hitchcock [2]





8 novembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)

A Lady in Paris
di Ilmar Raag


Con Jeanne Moreau, Laine Magi, Patrick Pineau
Francia/Belgio/Estonia, 2012
Durata: 94'
Drammatico










Anne vive in Estonia, ma dopo la morte della madre si sposta a Parigi per diventare la badante di Frida, una ricca signora, pure estone, che ha rotto i ponti con la terra d'origine. I rapporti tra le due donne si rivelano difficili. L'unico amico di Frida è Stephane, un ex amante, molto più giovane di lei, al quale la donna ha donato il bar che era di proprietà del marito.

Nonostante il deviante titolo italiano, A Lady in Paris non ha per protagonista una donna inglese nella capitale francese, bensì un’estone a Parigi, proprio come riassunto nel titolo originale “Une Estonienne à Paris”.
È una Parigi grigia e fredda quanto ammaliante quella che Ilmar Raag sceglie perché sia non solo sfondo, ma vera e propria protagonista del suo film. Per le due donne di A Lady in Paris l’incantevole capitale francese è un’amica che accompagna le loro passeggiate solitarie, un’occasione per cambiare il proprio destino, l’incarnazione della libertà e della vita stessa. Non poteva esistere un altro luogo in cui Anne potesse capire chi è veramente e chi vuole diventare; né città migliore in cui Frida potesse cercare l’amore, a costo di rinnegare le sue origini.
A Lady in Paris è un film sulla ricerca di se stessi e sull’importanza che a volte l’allontanamento da casa, dalle persone che si amano e il contatto invece con dei perfetti sconosciuti può avere per capire chi siamo.
Nonostante la pellicola tocchi spesso il d
ramma e il dolore, Ilmar Raag non vi ci sofferma mai, preferisce accennarlo e lasciare allo spettatore il compito di completare un discorso interrotto, uno sguardo sfuggente, una foto in bianco e nero. È sicuramente una scelta raffinata, ma anche rischiosa perché può finire per rendere piatto il film e annoiare lo spettatore.
Certo a rimediare qua e là ci pensa la carismatica Jeanne Moreau nel ruolo di Frida che con le sue osservazioni cattive, ma fuori luogo e paradossali, riesce sempre a strappare un sorriso. Perfettamente nel ruolo anche Laine Magi, un’Anne tanto marcata dal dolore quando pensa alla sua vita quanto trasognante davanti alle vetrine di Parigi.

(Corinna Spirito, da Eco del Cinema)






























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15 novembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)


Il castello nel cielo
di Hayao Miyazaki


Giappone, 1986
Durata: 124'
Animazione












La giovane Sheeta, in fuga da un gruppo di pirati dell'aria, viene soccorsa dal coetaneo Pazu. La ragazza è una discendente del popolo di Laputa, una leggendaria città-castello che viaggia nel cielo da centinaia di anni, nascosta dalle nuvole. Pazu decide quindi di aiutare Sheeta a ritornare nella sua città e insieme intraprendono una lunga avventura, costantemente inseguiti dai pirati e dall'esercito.

Per molti versi Il castello nel cielo, meglio noto con il titolo originario di Laputa tra i fan del sensei dell'animazione nipponica, rappresenta l'epitome del Miyazaki-pensiero, oltre che uno dei suoi esiti più ragguardevoli. I temi portanti della poetica del regista sono presenti al gran completo, dall'abnegazione e dedizione al lavoro come passaggio essenziale per la maturazione dell'individuo al sostanziale pessimismo sulla natura umana, vista come inevitabilmente contrastante con le esigenze della natura nel suo complesso; per concludere con l'ossessione per il volo e la libertà insita nell'astrazione dal mondo a bordo di un velivolo, punto d'osservazione privilegiato. Ciò nonostante Laputa rimane un unicum nel corpus miyazakiano, che mai come qui si affida a un vero e proprio action hero, come l'indomito Pazu, alle prese con dei nemici che non sono i consueti spiriti birboni o dei poco di buono un po' confusi, ma veri e propri villain ad alto livello di pericolosità (e che muoiono, fatto piuttosto raro nella filmografia del sensei). Quasi che Il castello nel cielo costituisse un trait d'union tra gli inizi nella serialità per la Tv e l'epopea dello Studio Ghibli.
In Il castello nel cielo è come se Hayao avesse voluto convogliare il senso dell'avventura classica nel suo complesso, convogliando influenze e aspirazioni per elaborare la sua summa definitiva; citazioni letterarie come quella ovvia di Swift (Laputa era una città del cielo de I viaggi di Gulliver) che si mescolano con i miti del continente perduto e tecnologicamente avanzato.
Per alcuni il vertice della sua poetica e il momento in cui Miyazaki ha dimostrato di saper padroneggiare una gamma più ampia del consueto di generi, anche contrastanti; per tutti indiscriminatamente, invece, un momento fondamentale per comprendere il senso dell'avventura nell'era del "già detto" e le potenzialità ad infinitum e ab infinito dello storytelling, attraverso il superamento di limiti comunemente autoimposti.
(Emanuele Sacchi, da MyMovies.it)










































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29 novembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)



Nella casa
di François Ozon


Con Fabrice Luchini, Ernst Umhauer, Kristin Scott Thomas, Emmanuelle Seigner
Francia, 2012
Durata: 105'

Drammatico










Un ragazzo di 16 anni si insinua nella casa di un suo compagno di classe per trovare ispirazione per i suoi componimenti scolastici.
Colpito dal talento e dall'indole insolita dello studente, il suo professore di francese ritrova il gusto dell'insegnamento, ma l'intrusione scatenerà una serie di eventi incontrollabili.


Hitchcock più Zavattini più Woody Allen più Paul Klee più quel «mattone» di Viaggio al termine della notte (il perché di quel sostantivo lo si capisce nella penultima scena...) e la lista potrebbe proseguire quasi all'infinito. Il nuovo film di François Ozon, Nella casa, è una specie di puzzle sul tema della creazione, vista volta a volta come condivisione, voyeurismo, compensazione, invidia, sogno (e anche qui, chi più ne ha più ne metta) ma è soprattutto una nuova variazione sul tema delle apparenze e della realtà, quello che pur nella varietà dei toni e dei modi ha innervato fino a oggi tutta la produzione di questo quarantacinquenne regista francese.
All'origine c'è una commedia spagnola, Il ragazzo dell'ultimo banco, di Juan Mayorga, che racconta il legame che si instaura tra un professore di lettere di liceo e un suo allievo, l'unico che sembra dotato del talento della scrittura.
Ozon, che l'ha adattata, ha fondamentalmente messo un po' «d'ordine» nel magma di dialoghi e pensieri che si scambiavano i due protagonisti, trasferendo l'azione in Francia.
I piani su cui si svolge la narrazione diventano tre: quello del rapporto tra professore e allievo, in classe e in colloqui privati, dove l'adulto spiega le tecniche narrative, i trucchi per conquistare il lettore e come tener desta l'attenzione; quello che dà forma visiva al contenuto dei componimenti, mostrando Claude nella casa degli Artole mentre sfrutta l'amicizia di Rapha per osservare la madre e il padre; e quello privato dei coniugi Germain, dove il professore e sua moglie si scambiano opinioni sui temi di Claude ma ci fanno conoscere anche alcuni momenti della loro vita privata.
Questo triplo gioco, Ozon lo sa gestire senza cadere mai nell'ovvio o nel risaputo, aggirando il grande «buco nero» del valore di quello che si sta vedendo: gli incontri tra professore e studente, infatti, servono anche per commentare la qualità della storia che stiamo vedendo, offrendoci uno dopo l'altro i fatti e la loro interpretazione, la realtà (del cinema) e il suo svelamento critico.
(Paolo Mereghetti, da Il Corriere della sera – 17/4/13)






































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22 novembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)

Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti



Con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth, Sonia Gessner
Italia, 2013
Durata: 110'
Drammatico









Augusta è fuggita dall'Italia per combattere il suo dolore e ritrovare se stessa. Seguendo l'amica suor Franca è giunta in Amazzonia, per confrontarsi con un'esperienza lontanissima da quella della vita cui è abituata. Ma ben presto capisce che il “professionismo” religioso non fa per lei e cambia strada. Sarà solo la prima di varie svolte nella perenne ricerca del proprio equilibrio. Nel frattempo, in Italia, la madre l'attende preoccupata...

Per certi versi è il film che Terrence Malick non riesce più a fare: paragone forse eccessivo, d'accordo, ma che denota un pensare alto e altro ormai raro nel cinema italiano. L'aspetto più interessante è questa poesia della quotidianità, che non diventa mai né cifra stilistica principale, né impedimento alla sperimentazione. Al contrario, il regista si lascia ogni tanto abbandonare a qualche elaborazione visiva molto interessante, che crea un efficace contrappunto rispetto al naturalismo della fotografia. Abbiamo così vari momenti che si intrecciano lungo il racconto e che di volta in volta sembrano riflettere varie caratteristiche del cinema di questo anomalo autore: la concretezza di Ermanno Olmi (alla cui scuola Diritti si è formato), l'afflato libertario di un cinema non necessariamente italiano nella forma, e una tendenza alla narrazione che sta addosso ai personaggi, più direttamente vicina ai canoni della nostra industria.
Al centro di tutto, in fondo, c'è una protagonista in cerca di se stessa e che per questo agevola l'indeterminatezza ricercata dal progetto: una donna che, fra le righe, capiamo essere fuggita dopo aver appreso di non poter generare figli, ma che alle spalle ha pure la perdita di un padre che sembra averla particolarmente segnata. Diritti però cerca di dribblare le trappole della psicologia spicciola, lasciando questi particolari sullo sfondo, concentrandosi invece sui contrasti che Augusta genera nell'immediato, con la sua presenza “aliena” in uno spazio che lo spettatore percepirà comunque come eccezionale (nel senso vero e proprio di eccezione).
Su tutto domina in particolare una tendenza al nomadismo, al continuo spostarsi di luogo in luogo: ogni qual volta sembra infatti che Augusta abbia trovato la sua dimensione, ecco che qualcosa la spinge a fuggire ancora. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di una dinamica del rimpiattino, perché il motivo che, al fondo, fa sempre continuare il viaggio è che ogni volta la protagonista scopre di non essersi riuscita a lasciare il proprio mondo “occidentalizzato” alle spalle.

(Davide Di Giorgio, da Il nido di Rodan)



































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6 dicembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)


Tutti pazzi per Rose
di Régis Roinsard




Con Romain Duris, Déborah François, Bérénice Bejo, Shaun Benson
Francia, 2012
Durata: 111'

Commedia








Primavera 1958. Rose Pamphyle ha 21 anni e vive con suo padre, un burbero vedovo titolare dell'emporio di un piccolo villaggio in Normandia. Rose è promessa in sposa al figlio del proprietario dell'autofficina e l'attende un destino di casalinga docile e devota.
Ma Rose non vuole saperne di una vita del genere. Così decide di partire per Lisieux, dove il trentaseienne Louis Echard, carismatico titolare di un'agenzia di assicurazioni, sta cercando una segretaria. Il colloquio per l'assunzione è un fiasco totale. Ma Rose ha un dono: batte i tasti della macchina per scrivere a una velocità vertiginosa e così riesce suo malgrado a risvegliare l'ambizioso sportivo che sonnecchia in Louis... Se vuole ottenere il posto, Rose dovrà partecipare a delle gare di velocità dattilografica. Ignorando i sacrifici che la giovane dovrà compiere per raggiungere l'obiettivo, Louis si improvvisa allenatore e decreta che farà di Rose la dattilografa più veloce di Francia, e perfino del mondo! E l'amore per la competizione sportiva non va necessariamente d'accordo con l'amore puro e semplice…


Non è revisionismo né omaggio cinefilo. Il cinema francese che torna a guardare il suo passato attraverso la commedia sentimentale sembra avere una marcia in più. Proprio perché, più dei modelli (forse i film con Rock Hudson e Doris Day) contano più la struttura e l'atmosfera. Tutti pazzi per Rose punta su una sceneggiatura solida, su una ricreazione degli ambienti che caratterizzano l'epoca (le foto di Marilyn e Audrey Hepburn) sul muro e soprattutto su colori accesi, con delle tinte forti, esaltando quasi di dipingere la propria immaginazione come riesce a fare bene il film di Regis Roinsard, al primo lungometraggio dopo i corti Simon e Belle, enfin possibile.
Quasi un cinema da vecchio artigianato quello di Tutti pazzi per Rose, titolo che fa riferimento a una nuova macchina da scrivere da lanciare sul mercato, ma dietro c'è altro ancora. Oltre a dialoghi taglienti ("Questa macchina è stata pensata per una donna e non per un elefante"), il film gioca abilmente con disinvoltura a creare situazioni ambigue, attrazioni inevitabilmente fatali però ritardate e non si vergogna di essere neanche così amabilmente prevedibile, arrivandoci però con situazioni che vengono accennate, mostrate, ripetute. Pieno di felici frammenti (Rose che cade dalla bici e Louis che la soccorre), si regge certamente sulle spalle esperte di Romain Duris (quasi attore fuori dal tempo da commedia sofisticata, caso rarissimo nel cinema europeo), delle precise caratterizzazioni nei ruoli secondari come Bérénice Bejo e della sorprendente Déborah François (protagonista di L'enfant dei fratelli Dardenne e di Student Services) nei panni di Rose. Dietro ci sono gli echi della guerra, le ferite oscure che non prendono per fortuna mai il sopravvento ma che sono efficaci proprio per il loro restare in superficie.
La nostalgia vera si infiamma con la velocità e l'immedesimazione di un film sportivo che si mescola con quell'interazione e sul ribaltamento del rapporto tra star famosa e attrice emergente di A Star Is Born.

(Simone Emiliani, da Sentieri selvaggi)






































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13 dicembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)


Quando meno te lo aspetti
di Agnès Jaoui





Con Agnès Jaoui, Jean-Pierre Bacri, Arthur Dupont
Francia, 2013
Durata: 112'
Commedia







A 24 anni Laura aspetta ancora il suo principe azzurro. Così, quando ad una festa appare Sandro, che corrisponde esattamente all’uomo dei suoi sogni, Laura pensa di aver trovato quello giusto. Ma poi incontra Maxime e inizia a chiedersi se non ci siano principi migliori di altri. Dal canto suo anche Sandro ha i suoi problemi: il padre Pierre, al funerale di suo nonno, si è appena imbattuto in Irma, e questo gli ha fatto ricordare che alcuni anni prima lei gli aveva predetto la data della sua stessa morte. Ora Pierre non riesce più a fare progetti, né con la sua nuova compagna Eleonore, né con Sandro. Anche Maxime ha i suoi problemi; così come pure Eleonore, Marianne, Jacqueline e tutti gli altri. Ma non c’è da preoccuparsi: alla fine vivranno tutti felici e contenti!



Ma che meraviglia, che leggerezza, che gioia, che bravi questi francesi! Dopo l’acutissima Il Gusto degli Altri e la spassosa Così Fan Tutti, ecco un’altra deliziosa commedia della coppia, sul set e nella vita, Agnès Jaoui e Jean-Pierre Bacri. Assieme sono autori di una sceneggiatura semplice e complessa che legge la realtà attraverso lo specchio magico di Biancaneve, trasfigura i protagonisti in personaggi fiabeschi e scorre in parallelo alla recita dei bimbi, fino a confondersi con questa. Jaoui regista dirige con empatica naturalezza i propri ottimi attori, così come Jaoui attrice dirige i piccoli protagonisti della recita scolastica.
Jean-Pierre Bacri, co-autore dello script, è, a sommesso avviso di chi scrive, un attore immenso, un mix tra Bersani e Louis de Funès, burbero ma irresistibile: “non sopporto i bambini, parlano in continuazione”. Ed è proprio la coralità, l’ensemble di interpreti eccellenti che caratterizza le opere della regista (e di molto cinema francese), la naturalezza dei personaggi e delle situazioni, che deriva dall’ottima scrittura, le differenzia dalle commedie italiane anche recenti, incentrate sul protagonista, spesso l’unico attore decente dell’intero cast, appesantite da un umorismo forzato, spesso pecoreccio, imprigionate in una greve territorialità, spesso in un provincialismo avvilente, e permeate da un giovanilismo nostalgico ed irritante.
Quando meno te lo aspetti è una fiaba metropolitana, soave ed intelligente, mai crudele, mai volgare, permeata di profonda comprensione e simpatia per i difetti umani e popolata da facce normali, volti comuni che potreste incontrare al bar o in ascensore, a differenza del nostro patetico cinemino nazionale ove per contratto i due giovani amorosi paiono uscire da un catalogo di intimo. Gusto e leggerezza, scrittura limpida, umiltà autorale ed interpreti perfetti: la formula magica per la commedia è tutta qui, senza alcuna velleità di suscitare né lo scandalo pour épater les bourgeoises, né la risata fracassona, perché a volte un semplice sorriso continua ad accompagnarci anche fuori dalla sala.
(Giovanni Romani, da Cult Cinema)







































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20 dicembre 2013 
(h. 18.00 e h. 21.15)


Bling Ring
di Sofia Coppola






con Emma Watson, Katie Chang, Israel Broussard, Leslie Mann, Taissa Farmiga
Usa, 2013
Durata: 87'  







In una Los Angeles ossessionata dalla celebrità, un gruppo di adolescenti ci trascina in una folle ed avvincente sequenza di crimini sulle colline di Hollywood. La storia è ispirata a fatti realmente accaduti, e il gruppo ossessionato dal glamour e dal lusso, utilizzando Internet, ha realmente studiato le celebrità da colpire, per poi rubare nelle loro case beni di lusso per oltre 3 milioni di dollari. Tra le vittime Paris Hilton, Orlando Bloom e Rachel Bilson. La banda è stata ribattezzata dai media “The Bling Ring”.


Ai confini della fama, giusto ad un passo dalla celebrità che intrattiene il mondo intero nel cerchio dorato della gloria mediatica. Come era autentica l'ispirazione che ha dettato a Matteo Garrone l'ossessione da grande fratello del suo Reality, così è tratta dalle cronache (hollywoodiane, in questo caso) anche la vicenda sulla quale Sofia Coppola edifica The Bling Ring, dove la rima, tradotta, sta più o meno per “circolo dei monili” ed è copyright dei giornalisti americani, prima fra tutti Nancy Jo Sales, al cui servizio su Vanity Fair s'è ispirata la regista.
Il film di Sofia Coppola ricostruisce le vicende del caso con spirito libero, affiancandosi alla leggerezza dei suoi giovani protagonisti con la stessa curiosità e tenerezza che da sempre caratterizza la sua visione del mondo extralarge, fuori misura, cucito addosso a giovanissimi principi in cerca di definizione e realtà. Sono tutti frammenti di un universo dove lo stupore della superficie riflette un'immagine che riproduce all'infinito il vuoto della modernità proiettato in scala gigante nelle esistenze delle star.
In Bling Ring Sofia Coppola costruisce uno scenario in cui il controcampo è giocato tra le telecamere di sorveglianza che, sin dall'inizio, ci mostrano i ragazzi spiati nelle loro incursioni, come fossero protagonisti di un implicito reality show che riflette all'infinito, come in un gioco di specchi, l'immagine privata resa pubblica. Ribaltando come un guanto la prospettiva tra fama e clandestinità, pubblico e privato, celebre e sconosciuto, la regista non fa altro che opporci come un teorema l'idea di un mondo in cui l'identità e il modello di riferimento si confondono, lasciando trasparire la posa in abisso del rapporto tra l'Io e il Noi. Il tutto elaborato nel classico stile intriso di glamour della regista, completamente immerso in una percezione del reale che riluce di finzione ed esibizione. Merito anche, in questo caso, della disponibilità di Paris Hilton, che ha messo a disposizione per le riprese la sua casa santuario, violata nella realtà dai giovani ladri.
(Massimo Causo, da Il Corriere del Giorno)
























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