Venere in pelliccia
di Roman Polanski
con Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
Fr. 2013 - 96'
Thomas, regista
teatrale, sottopone ad audizione la giovane Vanda per il ruolo da
protagonista nel suo adattamento dal romanzo di Leopold von
Sacher-Masoc Venere in pelliccia. La ragazza, apparentemente
inesperta e volgare, si dimostrerà scaltra e con le idee molto
chiare sul ruolo, in grado perciò di dare molto filo da torcere al
nevrotico regista.
Tratto da un testo
teatrale di David Ives, a sua volta ispirato al romanzo di Leopold
von Sacher-Masoch, e tutto girato in un teatro, di sé il film di
Roman Polanski mostra subito la dimensione dell'eros masochistico,
insieme con quella non meno erotica del gioco tra il narcisismo del
regista e quello dell'attore. In questo gioco, ancora, si innesta la
logica del potere che l'uomo pretende di esercitare sulla donna.
Intervista a
Roman Polanski
In che modo ha
scoperto il lavoro di David Ives, ispirato al romanzo di
Sacher-Masoch?
Grazie al mio agente, Jeff Berg. L'anno scorso a Cannes, dove mi
trovavo per assistere alla proiezione della versione restaurata di
Tess, mi ha consegnato la sceneggiatura di Venere in pelliccia e mi
ha detto: "È perfetta per te!". Non avevo molto da fare e
così sono salito nella mia stanza e ho iniziato a leggerla e… ho
pensato: "Sì, mi piace!". Il testo era così divertente
che mi sono ritrovato a ridere da solo, il che è piuttosto raro.
L'ironia della pièce, che talvolta sfiora il sarcasmo, era
irresistibile. Mi è piaciuto anche l'elemento femminista e ho voluto
immediatamente farne un film. Per prima cosa c'era un ruolo magnifico
per Emmanuelle, e da tempo parlavamo di tornare a lavorare insieme,
poi un bellissimo ruolo maschile. Ho immaginato subito di ambientarlo
in un teatro vuoto, forse perché ho un background teatrale. Un
teatro crea un'altra dimensione, una certa atmosfera...
Dopo Carnage, di
Yasmina Reza, questo è il suo secondo adattamento di un lavoro
teatrale e il suo primo film in francese...
Non prendo mai in considerazione questi aspetti, è stato il soggetto
che mi ha ispirato. E un'altra cosa: ci sono solo due personaggi. Fin
dal mio primo film (Il coltello nell'acqua, 1962) in cui ne erano
presenti solo tre, mi sono detto: "Un giorno realizzerò un film
con solo due personaggi!". È una vera sfida, ma una sfida che
mi dà ispirazione, perché presenta degli ostacoli… altrimenti mi
annoio. La sfida era trovarsi in un unico ambiente con due personaggi
senza mai annoiare gli spettatori, senza che apparisse teatro ripreso
per la televisione. Davvero interessante, soprattutto ora, perché
andare al cinema significa ritrovarsi bombardati dalle immagini e dal
sonoro. Realizzare i trailer è la parte più difficile! Ce ne sono
alcuni che concentrano la violenza di un intero film: decine di
esplosioni, decine di macchine che saltano e tra una ripresa e
l'altra sempre lo stesso sonoro, come se fosse l'unico che possiedono
nel loro repertorio...
Può parlarci di
come ha lavorato all'adattamento con David Ives?
Per prima cosa abbiamo tagliato i dialoghi e apportato dei
cambiamenti ad alcune scene. Il nostro scopo era trasformarlo
realmente in un film. Nel lavoro teatrale tutto avviene in una sala
per audizioni, abbastanza impersonale. Invece in Francia, in
particolare nei teatri privati, dove non ci sono compagnie stabili,
le audizioni si tengono spesso sul palco. Quindi il mio primo
pensiero è stato di ambientare l'azione in un teatro. Trovarsi in un
teatro cambia tutto, fin dall'inizio! Potersi muovere tra il palco e
la platea, per non parlare dello spazio dietro le quinte, offre
tantissime opportunità. Il nostro lavoro è stato molto attento ai
particolari, anche se, durante le riprese, ho cambiato alcune
situazioni e improvvisato dei movimenti.
Le è familiare
il mondo di Sacher-Masoch?
No, niente affatto!
È un mondo che
la attrae?
Per niente! In un certo senso lo trovo buffo. Un amico mi ha fatto
vedere alcuni film pornografici giapponesi sadomaso. Folli! Al punto
da essere lievemente terrorizzanti. Non avevo idea che così tanta
gente potesse essere appassionata di questo tipo di cose. Intravedo
un parallelismo con il punk e il gotico: c'è qualcosa di innaturale,
fatto per impressionare gli altri o per seguire una moda. Penso che
alcuni lo facciano per sentirsi parte di un gruppo, per essere come
gli altri punk o gotici, piuttosto che per il piacere di bucarsi le
guance o indossare abiti scomodi.
Nel sadomasochismo c'è qualcosa di non molto diverso dal teatro:
diventi regista delle tue fantasie, interpreti un ruolo, diventi
un’altra persona… Il film gioca con questa teatralità, un lavoro
teatrale all'interno di un lavoro teatrale: dove dominazione e
sottomissione, teatro e vita reale, personaggi, realtà e fantasia si
incontrano, si scambiano di posto e confondono le linee di confine…
Nel film, l'attrice dice: "Nuda sulla scena? Non c'è problema.
Lo farò per te senza problemi. E poi il sadomasochismo mi è
familiare, lavoro in teatro!".
Pensa che i
rapporti tra registi e attori siano sadomasochisti?
Certo, ma il film ironizza su questo aspetto. È una delle battute
scritte da David Ives che mi ha fatto ridere e mi ha fatto venire
voglia di adattare il suo lavoro. È stato divertente ed eccitante
trovare un registro diverso per ogni situazione, un linguaggio
diverso, un gioco diverso, soprattutto per il personaggio
interpretato da Emmanuelle. Sicuramente il personaggio di Mathieu
Amalric vive meno cambiamenti, ma le differenze sono più sottili.
A quale
personaggio si sente più vicino?
A nessuno dei due! Anche se... il mio lavoro mi posiziona più vicino
al personaggio del regista ovviamente, ma non a questo! Spero di non
aver mai commesso quel tipo di errore! Se avessi adattato io stesso
Sacher-Masoch e lo avessi diretto… non credo che sarei stato
intrappolato da una donna come quella. Mi piace quando il regista
dice: "Ho intenzione di usare la Lyric Suite di Alban Berg per i
passaggi", e lei dice "è una splendida idea!" e lui,
sorpreso, le chiede se la conosca e lei risponde "no".
Adoro questo tipo di momenti.
Quale dei punti
di forza di Emmanuelle Seigner l'hanno resa particolarmente adatta a
interpretare questo ruolo?
La sua fisicità, l'immagine che proietta e la sua abilità nel
passare da un'emozione all'altra... Pensavo che il personaggio
dell'attrice sarebbe stato molto facile per lei da interpretare, ma
durante le riprese mi sono reso conto che era l'altro personaggio –
il personaggio del libro di Masoch, Vanda von Dunajev – che le
veniva molto più facilmente, anche se non ha mai avuto problemi con
nessuno dei due. Passava dall'uno all'altro con grande naturalezza e
riusciva a modificare la voce, l'accento, l'atteggiamento e la
fisicità – due corpi diversi – senza problemi.
Cosa dice di
Mathieu Amalric?
È un grande attore e anche un regista, quindi capisce molte cose e
tante situazioni. È talentuoso, intelligente e ha l'età giusta.
Tutto quello che era necessario per interpretare la parte con
successo! Pochi altri attori sarebbero stati capaci di fare ciò che
ha fatto lui, e con altrettanta finezza.
La cosa che
colpisce di più in questo film è quanto le assomiglia. Fa tornare
in mente il suo personaggio in Per favore, non mordermi sul collo! e
L'inquilino del terzo piano. È stato intenzionale?
È possibile che lui abbia deciso in questo senso, ma non è stata
una mia decisione. All'inizio non me ne ero neppure accorto. Anche se
la prima volta che ci siamo incontrati (grazie a Steven Spielberg che
ci ha presentati mentre stavano girando Munich) Mathieu mi ha
rivelato che spesso gli dicevano che mi assomigliava molto.
Colpisce anche
quanto questo film ricordi altri suoi lavori, da Per favore, non
mordermi sul collo! a Luna di fiele e L'inquilino del terzo piano,
non solo per la situazione claustrofobica, ma anche per l’atmosfera
e i temi.
Neppure di questo mi ero accorto. In un film come questo, semplice,
non troppo costoso e completamente sotto il controllo del regista,
non ci sono vincoli, si ha piena libertà. Quindi non deve
sorprendere che i "vecchi fantasmi" o i "vecchi
demoni" tornino a ossessionarti… A essere sinceri non ci avevo
pensato. Semplicemente mi è piaciuto il testo e ho realizzato il
film come l'ho visualizzato. È stata una magnifica avventura per
tutti quelli che sono stati sul set, una produzione davvero
piacevole.
Siamo stati molto fortunati. Ogni volta che volevamo qualcosa che era
difficile da ottenere riuscivamo ad averla! Tutto sembrava cospirare
a favore della realizzazione del film. Il colpo di fortuna più
grande è stato trovare un teatro dove costruire un set grande
abbastanza per le nostre necessità. Il primo posto cui ho pensato
mentre leggevo la sceneggiatura è stato il Théâtre Hébertot –
non quello restaurato di recente, ma quello un po’ più lasciato
andare, dove ho messo insieme Doubt (nel 2006) -. Cercavamo un teatro
e alla fine ci è venuto in mente il vecchio Théâtre Récamier, che
era chiuso da tanto tempo, ed è uno spazio vuoto, ma con la zona
della platea e i resti di un palco. Jean Rabasse, il nostro
scenografo, ha ricostruito ogni cosa, dal palco, ai posti a sedere,
al backstage. Alla fine del suo lavoro eravamo in un vero e proprio
teatro! Dopo cinque settimane di prove siamo stati in grado di girare
il film in ordine cronologico. È stata un'opportunità straordinaria
e sarebbe stato un peccato perderla.
La messa in
scena è molto rigorosa ed estremamente fluida...
Si impara sempre qualcosa nel corso degli anni!
Quante macchine
da presa ha usato?
Solo una. Per me, e soprattutto per questo film, c'è solo un
"miglior punto di vista". Potrebbero essercene altri,
alcuni buoni, ma solo uno è il migliore! Io giro dalla mia
prospettiva, seguendo quello che vorrei vedere con la macchina da
presa. Comunque uso sempre gli attori per bloccare le scene,
preferisco che le cose vengano da loro piuttosto che da me. Non puoi
fissarti su qualche idea di regia e poi cercare di passarla agli
attori. Sarebbe come avere un completo di ottimo taglio e poi cercare
di farci entrare qualcun altro! E a un certo punto della storia è
l'attrice che sceglie il suo posto sulla scena. Quando giro succede
qualcosa di simile. Inizio provando con gli attori e poi mi domando
come filmarli. La macchina da presa racconta la storia di quello che
vedo. Per questo uso solo una macchina. E poi con questo tipo di
soggetto la seconda macchina finirebbe nella prima inquadratura!
Ha lavorato
ancora una volta con Pawel Edelman. Cosa cerca in un direttore della
fotografia?
Deve capire esattamente cosa voglio vedere. Con Pawel, non c'è quasi
bisogno di parlare; lui sa quanto voglio realizzare rapidamente il
film. Posso dire la stessa cosa per Alexandre (Desplat, il
compositore). Tutti e due sono diventati miei ottimi amici e colleghi
eccezionali che capiscono e anticipano le mie idee e le sviluppano.
C’è molta
musica in Venere in pelliccia che si contrappone alle situazioni,
aggiunge fantasia, humour, ironia e una certa leggerezza.
L’unica cosa che ho detto ad Alexandre era che volevo molta musica.
Lui ha letto la sceneggiatura e ha avanzato qualche suggerimento,
esattamente nello spirito che volevo io. È così. Semplice. Lo
stesso è successo con Pawel. All’inizio del film tutto quello che
volevo era l’atmosfera di un teatro cadente, girato realisticamente
e da qui muoversi progressivamente verso la fantasia e
l’immaginazione.
Dopo la scena
della telefonata nel backstage, capiamo che il film è arrivato a un
momento cruciale. La luce è diversa. Il personaggio di Emanuelle
Seigner non è più lo stesso. Sembra quasi di entrare in un sogno...
Mi piace sviluppare gradualmente l'ambiguità. Anche mentre stavamo
lavorando all'adattamento, con David Ives, volevamo accrescere quel
senso di allontanamento dalla realtà, senza che lo spettatore se ne
rendesse conto. E abbiamo continuato nello stesso spirito durante le
riprese. Battute come: "È Venere che arriva per prendere la sua
testa", che giriamo letteralmente, ci sono per turbare lo
spettatore.
La danza finale
è una sorta di climax di questa progressione, di questa ambiguità...
L'idea mi è venuta abbastanza tardi. Sapevo l’atmosfera che
volevo, ma non riuscivo a trovare il modo per comunicarla, come
creare la sensazione che stavo cercando. E poi ho avuto l’idea di
questa danza, ispirata all'antica Grecia, come la musica.
Anche il cactus
sul set ricorda una colonna greca!
Sì… Tutto inizia con una versione musicale di Ombre rosse!
Con David cercavamo un titolo che fosse il più possibile lontano da
Sacher-Masoch. Qualcosa che sarebbe stato sicuramente un flop e
avrebbe lasciato libero il teatro per il nostro Thomas Novachek. E
avevamo bisogno di un totem cui potessimo legare Thomas. Ci siamo
scambiati una serie di idee e abbiamo riso molto. Un giorno ho
pensato a una specie di western, e da qui è nata l'idea di un
adattamento musicale del film di John Ford. Per la scena in
questione, il mio primo pensiero è stato il totem. Jean (Rabasse),
che ha progettato un set ispirato alla Monument Valley, mi ha
suggerito varie cose, tra cui i cactus. Mi sono piaciuti subito i
suoi cactus: è stata un’idea davvero divertente!
Lei ha letto
Venere in pelliccia a Cannes l'anno scorso ed è tornato esattamente
un anno dopo in concorso: è raro che le cose vadano così
rapidamente.
Sì, è folle. Ci sono film come questo in cui tutto funziona. Gli
attori e i tecnici sono stati eccezionali ed è soprattutto grazie a
loro se siamo riusciti a finire il film in così poco tempo. Ma
abbiamo lavorato duro! E poi abbiamo lavorato duro al montaggio!
Se potesse
conservare un'unica immagine dell'avventura di Venere in pelliccia,
quale sarebbe?
La scena dell'audizione, ovviamente!
(Simona Santoni,
da “Panorama”)
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