america & musica
Omaggio a Clint Eastwood
Il terzo incontro di OffiCInema dedicato a "america&musica" non poteva essere che per Clint Eastwood, che col suo penultimo film, Jersey Boys, ha dedicato al "grande paese" un ennesimo ritratto musicale attraverso la storia (in musical) di Frankie Valli e della sua celebre band.
Da qualche parte nel mondo esiste sicuramente un ritratto di Clint Eastwood che invecchia al posto del diretto interessato: non si spiega altrimenti come un signore di 84 anni riesca a sfornare un film dietro l’altro non perdendo, quasi mai, colpi, mettendosi costantemente in gioco e sperimentando ogni volta generi differenti tra loro. Dopo i fasti da star del cinema vissuti grazie ai film di Sergio Leone, dal 1971, con Brivido nella notte, il californiano dagli occhi di ghiaccio Eastwood è passato dietro la macchina da presa e da allora non si è più fermato: 37 le pellicole girate fino a oggi, l’ultima delle quali è American Sniper con protagonista Bradley Cooper, in uscita il prossimo anno. Prima di vedere Cooper nei panni di un militare della marina americana, tocca però a Frankie Valli e ai suoi The Four Seasons far scoprire al pubblico l’ennesima scommessa riuscita di Eastwood con Jersey Boys.
New Jersey, primi anni 50: Francesco Castelluccio (John Lloyd Young),
è un giovane apprendista barbiere italoamericano, con il mito di
Frank Sinatra e la passione per il canto; Tommy DeVito (Vincent
Piazza) è un criminale pieno di intraprendenza e voglia di vivere:
amici fin da ragazzi, i due, insieme alla conoscenza comune Nick
Massi (Michael Lomenda), mettono su un gruppo, i Four Lovers,
supportati dal gangster locale Gyp DeCarlo (Christopher Walken), boss
con un debole per le belle voci. Destreggiandosi tra un colpo e
un’uscita di galera, i tre riescono a distinguersi dal resto della
scena musicale locale quando incontrano, seguendo il consiglio della
futura star del cinema Joe Pesci, Bob Gaudio (Eric Bergen), pianista
e compositore. Grazie alla particolarissima voce di Frankie, che si
ribattezza Valli, e all’estro di Bob, il gruppo, che ora si fa
chiamare The Four Seasons, riesce a entrare in contatto con il
produttore Bob Crewe (Mike Doyle) e a solcare la porta del tempio
della musica americana di quegli anni, il Brill Building di New York,
trampolino di lancio per il loro grande successo.
Criminalità, provincia americana, musica, passione e voglia di
sfondare: l’ambientazione di Jersey Boys sembra toccare molte corde
del cinema di Martin Scorsese, con i personaggi che parlano
direttamente allo spettatore, la musica travolgente e la realtà
quotidiana di chi vive la strada pericolosamente. Jersey Boys non è
però una versione musical di Quei bravi ragazzi: trovando il giusto
equilibrio tra la biografia, il film musicale, la commedia e momenti
più drammatici, Eastwood confeziona una pellicola che affronta più
generi, tutti accomunati dal ritmo travolgente e dal potere
universale della musica. Autore in grado di affrontare generi agli
antipodi, dal film di guerra come Lettere da Iwo Jima (2006), a
pellicole sulla boxe come Million Dollar Baby (2004), passando per il
romantico I ponti di Madison County (1995) fino al tuffo nel
soprannaturale di Hereafter (2010), con Jersey Boys Eastwood non si
limita al semplice biopic, come già accaduto per Invictus (2009),
storia di Nelson Mandela, e J. Edgar (2011), in cui ha parlato del
fondatore dell’FBI, ma mette il cinema e i suoi mezzi espressivi al
servizio della musica. Da sempre grande appassionato di musica,
soprattutto di jazz, Eastwood è stato il musicista country
protagonista del suo Honkytonk Man (1981), ha raccontato la storia
del sassofonista Charlie Parker in Bird (1988), diretto uno dei
frammenti della serie di documentari Blues (2003), progetto voluto da
Martin Scorsese, e composto le musiche di molti dei suoi film, come
Mystic River (2003) e Gran Torino (2008): non stupisce dunque che il
regista californiano abbia voluto raccontare la storia di un gruppo
che ha fatto la storia della musica americana.
Affrontando la storia con il suo inconfondibile stile classico, ma
ammorbidendo la durezza cui ci ha abituato nelle sue pellicole più
drammatiche, Eastwood usa la voce di Valli e dei suoi amici per
raccontare un percorso di riscatto personale e desiderio di rivalsa,
non facendo l’elogio spassionato di questi artisti (fatto non
scontato se si pensa che tra i produttori esecutivi del film figurano
gli stessi Frankie Valli e Bob Gaudio), ma presentandoli come esseri
umani normali, con i loro difetti, gli errori e le disgrazie che
colpiscono chiunque, benedetti però da un talento fuori dal comune e
da una forza di volontà in grado di trasformare anche la peggiore
delle sofferenze in qualcosa che diventa meno doloroso grazie alla
magia che sono in grado di creare. Canzoni immortali come Big Girls
Don’t Cry, Walk Like a Man, Rag Doll, Sherry e Can’t Take My Eyes
Off You diventano il faro e lo scopo in grado di riscattare una vita
intera, così come lo erano gli incontri sul ring per Frankie Dunn
(Hilary Swank) in Million Dollar Baby, il senso di giustizia di Walt
Kowalski in Gran Torino e la fede incrollabile nel futuro di
Christine Collins (Angelina Jolie) in Changeling (2008): uomini e
donne come tutti, in grado però di fare cose straordinarie.
Per raccontare la storia di questi ragazzi del New Jersey, Eastwood
ha scelto di ingaggiare il cast originale del musical, aggiungendo al
gruppo Vincent Piazza, il Lucky Luciano della serie Boardwalk Empire,
nel ruolo di Tommy: una scelta vincente, dato che tutti i
protagonisti danno il meglio di sé, sia dal punto di vista
recitativo che canoro, essendo stati chiamati anche a cantare in
prima persona le canzoni dei Four Seasons. Nota di merito anche per
Christopher Walken e Mike Doyle che, nei panni rispettivamente del
gangster DeCarlo e del produttore Crewe, offrono i maggiori spunti
comici del film. Per quanto riguarda la regia Eastwood sceglie la via
della semplicità, facendo parlare la musica, concedendosi però due
momenti da maestro: il carrello verticale che ci porta all’interno
del Brill Building e ci mostra come in ogni piano dell’edificio
stia nascendo un nuovo genere musicale fondamentale, e la scena
finale, in cui viene allestito l’unico vero trascinante numero da
musical della pellicola.
Anche se non sarà ricordato come uno dei massimi capolavori di
Eastwood, Jersey Boys colpisce nel segno e proietta il pubblico negli
anni 50, facendogli sentire il calore dei riflettori del palcoscenico
e gli odori delle strade del New Jersey, grazie alla mano sicura e
inconfondibile del regista e al groove irresistibile della musica di
Frankie Valli e soci.
(di Valentina
Ariete, da “Repubblica XL”)
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