ecco finalmente a voi la Stagione Cinematografica 2009/2010 del Cinecircolo Casalini.
Di seguito trovate il programma dettagliato con trame, schede critiche, immagini e trailer di tutti i film in cartellone.
L'appuntamento è per il 4 dicembre.
Vi aspettiamo numerosi e con molti nuovi amici.
Buone visioni!
4 dicembre
Questione di punti di vista
di Jacques Rivette
con Sergio Castellitto, Jane Birkin
(Fr. 2009 – 84' - commedia)
Nella campagna francese, Vittorio, un italiano senza meta, si ferma per qualche giorno in un piccolo circo, affascinato dall’eccentricità del gruppo e dall’animo tormentato della proprietaria Kate
Una carezza. E' quella regalata da Questione di punti di vista del maestro francese Jacques Rivette, 81 anni suonati e tanta leggerezza ancora da dare al cinema e alla vita. Il suo ultimo film rifugge veli e metafore, decostruisce il set, alza il tendone sulle faccende dell'arte. Parla di sé Rivette e del suo cammino di cineasta. A iniziare dai suoi attori: Jane Birkin, modello di rappresentazione di tutte le sue eroine (con lui ha già lavorato in L'amore in pezzi e La bella scontrosa), qui nei panni di una funambola che torna dopo 15 anni alla vita del circo e ai tormenti del passato. Prigioniera di un errore che non ha commesso come la protagonista di Suzanne Simonin, la religiosa (1967), innamorata di un fantasma come Pauline in Out 1: Noli me tangere (1971), funambola sospesa sulla vita come Louise di Alto, basso, fragile (1991). La Birkin porta a compimento il destino implicito dei personaggi rivettiani che come "tutti i draghi della nostra vita sono forse principesse sofferenti che chiedono di venire liberate". Lo dice il bravo Sergio Castellitto nel film, lo pensa il saggio Rivette. L'arte non è mai stata nulla di diverso: una liberazione. E in Questione di punti di vista Castellitto è il regista/demiurgo, colui che restituisce ordine e senso a una compagnia di teatranti smarriti. Ma è anche lo spettatore con la quale ogni artista è chiamato a confrontarsi, per comprendere, per fare meglio.
(Gianluca Arnone – da Cinematografo.it, 14/09/09)
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Tralier
11 dicembre
Ti amerò sempre
di Philippe Claudel
con Kristin Scott Thomas, Elisa Zylberstein
(Fr./Germ. 2008 – 115' – drammatico)
Juliette, dopo 15 anni di prigione, torna dalla sorella insegnante Lèa che la ospita in casa col marito, due figli adottivi e il suocero muto, ma la sua presenza rischia di far vacillare l' equilibrio famigliare.
Juliette degli spiriti, ventate di ricordi, l' agguato del tempo e dei rimorsi. Il titolo francese coniuga il verbo al passato (ti amo da molto tempo), quello italiano punta sul futuro. E il film è un magnifico esempio di cinema europeo, con azione interiore, molto francese, analisi psicologica raffinata e sofferente ma anche con due sorprese, una dopo 30 minuti; l' altra straziante, in fine. Una storia virata al femminile senza vezzi ma gran sensibilità. Philippe Claudel vuole omaggiare la forza delle donne nel rimettere a posto i pezzi di vita, loro e altrui. Una straordinaria Kristin Scott Thomas (nomination all'Oscar era d' obbligo) percorre il film guardandoti negli occhi gelidi dentro cui ribolle una insofferenza, un rimorso svelati nella scena madre; le dà risposta pure in silenzio l'attrice di rara sensibilità Elsa Zylberstein, ma sono da citare anche tutti gli apporti maschili, vari e perfetti. Thriller moral giudiziario con mini lacune di verosimile ma una tessitura drammatica di forza eccezionale, capace di accendere un «divertimento» emotivo intellettuale continuo. Il Libro (la notte sta di conforto sul letto) risulta al centro dell' attenzione e le citazioni di Dostoevskij e Leopardi non casuali, mentre si dice che Rohmer è il nostro Racine, dalla parete occhieggia un poster di Lubitsch. Bellissimo film cui vince su tutti la Parola che nel cinema può essere un Silenzio: fidatevi.
(Maurizio Porro - da Il Corriere della Sera, 6/2/09)
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Il trailer
15 gennaio
Louise Michel
di Benoît Delépine, Gustave Kervern
con Bouli Lanners, Robert Dehoux
(Fr. 2008 – 94’ – commedia)
Un gruppo di donne licenziate da una fabbrica tessile del Nord della Francia, investono la loro liquidazione per tentare di eliminare il padrone, ma scelgono i killer sbagliati, imbranati e grotteschi…
Questa storia semi-seria (ma esilarante!) di come un pugno di impiegate siano diventate committenti di una strage di funzionari è uno dei film più autenticamente anarchici e surreali dell'anno, una vera commedia di resistenza al vivere civile e sociale che già si fece notare al Festival del Film di Roma. Tutto in essa diventa atto di ribellione ad un ordine anche e specialmente quello che i due poveri protagonisti (per l'appunto Louise e Michel) non intendono certo come tale. I registi Benoît Delépine e Gustave de Kervern sostengono (da anarchici) di non conoscere la tecnica del cinema e di limitarsi a inquadrare ciò che vogliono mostrare, ma non è assolutamente vero. La conoscono e come! Non c'è immagine dietro la cui composizione non stia una profonda riflessione su quale elemento della scena vada sottolineato o dietro alla quale non si nasconda una valutazione morale. Non c'è carrello che non sia indispensabile (per finalità comiche, impressionanti o narrative) e non c'è forzatura del normale racconto che non sia una raffinata deviazione utile a raccontare un mondo (come ad esempio lo sono i brevissimi flashback dei protagonisti). Si divertono con una comicità semplice ma efficace, spesso innescata dal contrasto tra ciò che è in scena e ciò si può solo sentire fuoriscena. E anche quando inseriscono brevissimi momenti sentimentali si tratta di attimi tutti da cogliere, realizzati con grande conoscenza del cinema.
(Gabriele Niola – da MyMovies.it)
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IL TRAILER
22 gennaio
Lo spazio bianco
di Francesca Comencini
con Margherita Buy, Antonia Truppo
(It. 2009 – 96’ – drammatico)
Alice è venuta al mondo troppo presto, ha trascorso solo 6 mesi nella pancia della mamma, Maria, che ora le deve stare accanto, in attesa che nasca davvero.
Lo spazio bianco è un tempo sospeso, raccontato dalla fantasia e dal talento di quattro donne. Valeria Parrella ha scritto il romanzo, Francesca Comencini l'ha portato al cinema con il decisivo contributo di Federica Pontremoli alla sceneggiatura, Margherita Buy ha interpretato Maria con incredibile bravura. È un film di donne, forse anche «per» donne - e per lo più è la donna, nelle dinamiche di coppia, a scegliere il film da andare a vedere. In bocca al lupo. In realtà, se possiamo dirlo, vedere Lo spazio bianco può fare molto bene anche a noi uomini. Conosceremo, appunto, uno «spazio» nel quale non siamo previsti, ma dove possiamo dare comunque un nostro contributo a condizione di essere discreti. Il messaggio forte del film è che esistono situazioni in cui gli uomini debbono fare un passo indietro. Maria deve trovare dentro di sé la forza per tener duro fino al momento in cui Alice nascerà o, forse, morirà. Le altre donne sono complici, o esempi: come le altre madri nella sua stessa situazione, o come la magistrata che abita nel suo palazzo, perennemente accompagnata dalla scorta (siamo a Napoli, nel cuore di Gomorra) e lontana dal marito e dai figli. Ma sono anche moniti: come la paziente che cammina sul tetto dell'ospedale,e che potrebbe anche decidere di buttarsi. È un mondo in cui le donne affrontano sfide, paure, solitudini. Ma ce la fanno. Perché sono come Valeria, Francesca, Federica e Margherita. Brave. E toste.
(Alberto Crespi - da L'Unità, 16 ottobre 2009)
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Il Trailer
29 gennaio
The Reader – A voce alta
di Stephen Daldry
con Ralph Fiennes, Kate Winslet
(Usa/Germ 2008 – 124’ – drammatico)
Nella Berlino del dopoguerra, il giovane Michael ha una relazione con una donna più grande, con cui si dedica anche alla lettura dei classici. Diventato adulto e avvocato, Michael ripensa a quella donna misteriosa che aveva scoperto il suo drammatico passato.
Stephen Daldry ci offre un tentativo di sintesi del suo cinema precedente. Per un aspetto torna l'attenzione a una fase fondamentale della crescita di un adolescente come in Billy Elliot e per l'altro la voglia di cimentarsi con una storia che si muove su più scenari narrativi come accadeva in The Hours. Perché The Reader (che in inglese conserva l'intrigante attribuzione sia maschile che femminile) è una storia divisa in due. Nella prima parte fonde con uno sguardo vivace, e al contempo indagatore, l'iniziazione sessuale del protagonista maschile con la fame di cultura letteraria della donna che gli si offre con totale disponibilità. Il linguaggio dei corpi uniti e quello della parola scritta che diventa voce, con tutte le sfumature di senso che comporta, assorbe l'attenzione dello spettatore. Quasi improvvisamente però il film si sottrae a questa dimensione per spostare il baricentro sul tema del senso di colpa nei confronti della collettività che finisce con il riverberarsi sulle dinamiche interpersonali portando la narrazione sui binari già più visitati dal cinema sull'Olocausto. Ciò detto l'interpretazione di Kate Winslet resta magistrale anche se viene da chiedersi se non meritasse la nomination all'Oscar per la più psicologicamente sfaccettata prestazione offerta in Revolutionary Road.
(Giancarlo Zappoli – da MyMovies.it)
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12 febbraio
Two Lovers
di James Gray
con Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow
(Usa 2008 – 110’ - sentimentale)
Leonard torna a vivere con i genitori dopo essere stato abbandonato da una promessa sposa e si innamora della sua vicina ribelle Michelle, ma nella sua vita compare anche la dolce e rassicurante Sandra.
È una New York etnica, arcaica, dalla grana grossa e dalle ombre profonde quella che James Gray ama raccontare, una città di famiglie, di interni, di crepuscoli interminabili e notti ancora più lunghe. Tornando al quartiere dei suoi esordi (il film era Little Odessa, del 1995), Gray passa a una storia d'amore, un doppio triangolo giocato nei meandri confortevolmente ammuffiti e retrò di un vecchio condominio vicino al mare. Più o meno ispirato alle Notti Bianche di Dostoevski, Two Lovers si muove quasi interamente in una dimensione di sogno, astratta dal tempo reale (siamo nel presente ma le location evocano più gli anni '40 o '50). E’ proprio questo essere così «altro» che determina il fascino della sua ricerca, il suo localismo ostinato, le discrezione nell'osservazione degli affetti, l'attenzione ai minimi dettagli del microcosmo che racconta (Rossellini che, per assicurarsi che stia bene, spia il figlio dalla fessura sotto la porta...). Al suo terzo lavoro con Gray, Joaquin Phoenix è il personaggio centrale ma anche una vera e propria funzione dello sguardo (non a caso, l'hobby di Leonard è la fotografia). Il suo contemplare le due donne e intermittente intrecciarsi con loro, è contemplare la sua vita futura, indecisa tra l'incognita dell'avventura romantica e senza garanzie e il calore di un sentimento più discreto, ancorato in una zona di conforto senza pericoli.
(Giulia D’Agnolo Vallan - da Il Manifesto, 27 marzo 2009)
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19 febbraio
OffiCinema:
Omaggio a James Gray
Classe 1969, cresciuto nel Queens a New York da genitori di origini russe, il regista James Gray è stato paragonato ai suoi esordi addirittura a Martin Scorsese. Dopo la scuola di cinema in California, la partenza è infatti di quelle col botto: il suo primo film Little Odessa girato ad appena 25 anni vince il Leone d’argento a Venezia oltre che aggiudicarsi la coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile andata a Vanessa Redgrave. Grazie unicamente alla qualità della propria sceneggiatura riesce ad avere malgrado il budget ridotto un cast eccezionale per un'opera prima di un autore sconosciuto: Tim Roth, Vanessa Redgrave, Maximilian Schell e Edward Furlong al servizio di una storia molto dura incentrata sulla mafia russa in America. Il grande successo permette al giovane regista di guadagnarsi subito l’attenzione degli studios che lui snobba per portare avanti la propria idea di cinema. Sei anni dopo il primo film arriva la sua opera seconda, prodotta dalla Miramax, The Yards, film presentato in concorso al Festival di Cannes con i giovani Mark Wahlberg, Joaquin Phoenix e Charlize Theron e un budget hollywoodiano che nonostante tutto non bissa il successo del suo lungometraggio d’esordio. Nel 2007 Gray realizza il suo terzo film, I padroni della notte, un’epopea nella New York degli anni 80 anch’esso incentrato su storie di mafia russa e di legami conflittuali in una famiglia newyorchese. Con il successivo Two Lovers, nel 2008, cambia radicalmente genere passando al dramma sentimentale ancora una volta interpretato da Joaquin Phoenix, il suo alter ego davanti alla macchina da presa. Gray, che dal 2005 è sposato con Alexandra Dickson con la quale ha fatto due figli, nel 2009 siede nella giuria del Festival di Cannes.
(da Trovacinema.it)
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26 febbraio
Questione di cuore
di Francesca Archibugi
con Antonio Albanese, Kim Rossi Stuart
(It. 2009 – 104’ – commedia)
Angelo è un giovane carrozziere che accumula beni, Alberto uno sceneggiatore di successo che spreca parole. Colpiti al cuore da un infarto e dalla vita, vengono ricoverati nella stessa notte e nella stessa clinica.
La vita colpita al cuore abbatte il rapporto di asimmetria sociale, determina un cambio o una liberazione nel modo in cui i "soggetti a rischio" si relazionano col mondo: l'aria da divo di Alberto, che consuma nel suo grande appartamento gli ultimi scampoli di un'ormai tramontata agiatezza, e il proletario senso pratico di Angelo, che ha cresciuto due figli e farà amorevolmente fronte all'inettitudine dell'amico. Nonostante la società abbia costruito fra di loro una barriera invalicabile, la necrosi del cuore li ha uniti, allentando i ruoli, aprendo la possibilità di guardarsi in modo diverso e progredendo verso una reciproca comprensione. Se l'Archibugi è indubbiamente abile a descrivere le sfumature del comportamento dei suoi personaggi, la raffinatezza di Questione di cuore si deve in grande misura all'interpretazione di Antonio Albanese e di Kim Rossi Stuart. Il primo mostrando la vulnerabilità che si cela sotto la superficie caustica, il secondo mantenendo una presenza più discreta e distaccata, ma non meno capace di suscitare venature di intenso sentimento. La storia di Alberto e Angelo invita lo spettatore a contemplare, nel contesto di due vite (stra)ordinarie, i paradossi dell'amicizia, il vincolo di necessità e di affetto sincero che la patologia cardiovascolare e la malattia esistenziale hanno stabilito.
(Marzia Gandolfi, da MyMovies.it)
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5 marzo
La battaglia dei tre regni
di John Woo
con Tony Leung, Chang Chen
(Cina 2009 – 130’ – drammatico)
Il film racconta la battaglia di Red Cliff (le scogliere rosse, sottotitolo del film) sul fiume Yangtze, accanto alla foresta Crow, dove sono accampati gli eserciti dei regni del sud, che Cao Cao vuole eliminare per insediarsi come unico imperatore della Cina.
Il kolossal più costoso del cinema cinese (80 milioni dollari) vaga nei secoli e dalla data storica salta al XIII secolo, quando Il romanzo dei tre regni di Luo Guanzhong manipolò fatti e personaggi e diventò il Via con vento asiatico, per approdare nell'estetica del videogame e dei fumetti contemporanei. Mai un film di guerra è stato tanto pacifista nella sensualità sinuosa delle vesti e dei sorrisi, negli improvvisi detour narrativi. Tra uno scontro e l'altro, il suono di un flauto distrae un generale e ferma la violenza... Una goccia di pioggia, un'increspatura di sabbia, un neonato avvolto tra le braccia insanguinate di un soldato, tutto è pausa allucinata, sogno nell'incubo. John Woo firma il suo capolavoro, e tra i fotogrammi insinua l'antidoto ai desideri sanguinari di ogni imperialismo. Cao Cao, l'arrogante generale che spende a piene mani carne di suddito, sarà umiliato da un volteggio lieve di spada che gli scompiglia i capelli. 148' che passano in rassegna le teorie di Ulisse, l'ingegno, l'invenzione dada contro il brutale manuale militaresco. «Un film sugli eroi dei Tre regni che non avesse niente a che fare con le arti marziali», così si era ripromesso John Woo, e così è in questo film dai fraseggi fiabeschi e inquietanti, poema cinese del terzo millennio.
(Mariuccia Ciotta - da Il Manifesto, 23 ottobre 2009)
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12 marzo
OffiCinema:
Omaggio a Clint Eastwood
Pare che Sergio Leone dicesse di lui: “Ha soltanto due espressioni, con il sigaro e senza”. Eppure è stato proprio lui a togliere Clint Eastwood dal giro delle comparsate e dei serial tv e a farne un divo. Nato a San Francisco, in California, il 31 maggio 1930, Clint Eastwood trova soltanto in Italia, proprio grazie agli spaghetti western di Sergio Leone, la popolarità che in patria non riusciva a conquistare. Grazie a Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto e il cattivo (1966), la sua maschera diventa una sorta di simbolo, icona indelebile nell’immaginario collettivo.Quando torna negli Stati Uniti continua a cimentarsi con il genere western e a raccogliere successi, come quello ottenuto con Impiccalo più in alto (1968). Intanto incontra Don Siegel, l’altro suo grande maestro insieme a Sergio Leone. Dalla loro collaborazione nascono film come L’uomo dalla cravatta di cuoio (1968) e Gli avvoltoi hanno fame (1969). Nel 1971, con Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, nasce il personaggio di Dirty Harry, il poliziotto più duro mai visto al cinema, che rivitalizza il genere poliziesco e regala a Eastwood un enorme successo. Nello stesso anno, Clint esordisce anche dietro la macchina da presa con il thriller psicanalitico Brivido nella notte. Poi alterna per molti anni le semplici interpretazioni, spesso con registi esordienti, come il Michael Cimino di Una calibro 20 per lo specialista, al lavoro di regista e autore dei suoi film. Notevole in questo senso è soprattutto il suo Bronco Bill (1980), splendido western crepuscolare in cui Eastwood fornisce anche una delle sue migliori interpretazioni. Dopo aver ricevuto una stroncatura dalla critica per Honkytonk Man (1982), Clint si rifugia per un po’ nel cinema commerciale, fino al riscatto del 1988 con Bird, che viene accolto con grande entusiasmo e conquista due premi a Cannes. Nel 1986, intanto, vince le elezioni a sindaco della cittadina di Carmel, in California, e mantiene la carica fino al 1992. Nello stesso anno il suo film Gli spietati vince quattro Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, e consacra definitivamente Eastwood, non solo come uno dei maggiori attori americani, ma anche come uno tra i più importanti registi di Hollywood. Con I ponti di Madison County (1995) Eastwood esplora anche il cinema sentimentale e intimista e ottiene di nuovo un grande successo. A questo seguono Mezzanotte nel giardino del bene e del male e Potere assoluto nel 1997, Fino a prova contraria nel 1999, Space Cowboys nel 2000. Nello stesso anno riceve il Leone d’Oro alla carriera e la Mostra del Cinema di Venezia gli dedica un’ampia retrospettiva. Con il documentario The Blues: Piano Blues - che è parte di una più ampia serie coordinata da Martin Scorsese, realizzata di più registi e dedicata alla riscoperta delle radici del blues - Eastwood torna, nel 2002, dopo “Bird”, ad un lavoro fortemente permeato di musica, sua grande passione mai nascosta che, negli ultimi anni, ha fatto sì che componesse con il fido Lennie Niehaus anche le colonne sonore dei suoi film. E arrivano ancora Debito di sangue (nel 2002, Eastwood è anche interprete), Mystic River (2003, 6 nomination e 2 Oscar, a Sean Penn come migliore attore, a Tim Robbins miglior non protagonista), struggente affresco di un’infanzia perduta e violata. In seguito, Million Dollar Baby, nel 2004 (che riceve nel complesso 7 nomination e 4 premi Oscar), e il dittico su Iwo Jima del 2006: prima Flags of Our Fathers, poi Lettere da Iwo Jima che porta a Eastwood la sua decima nomination personale agli Oscar. Si dice di lui che sia come i buoni vini che più invecchiano e più migliorano: non fanno eccezione i suoi due film più recenti, Changeling e Gran Torino (2009).
(da trovacinema.it)
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19 marzo
Segreti di famiglia (Tetro)
di Francis Ford Coppola
con Vincent Gallo, Alden Ehrenreich
(Usa 2009 – 127’ – drammatico)
Benjamin, che sta per compiere 18 anni, va a cercare a Buenos Aires il fratello Tetro, che ha rotto da tempo i ponti con la famiglia. In passato, nel momento in cui era fuggito dalla casa paterna, Tetro aveva lasciato una lettera a Benjamin in cui prometteva di tornare per portarlo via con sé.
Francis Ford Coppola realizza il terzo lungometraggio completamente suo (nel senso che ne ha scritto anche soggetto e sceneggiatura) dopo The Rain People e La conversazione. Si percepisce sin dalla prima inquadratura in uno splendido bianco e nero che in questo film c'è la voglia da parte del regista di guardare dentro se stesso e la propria vita. È quello che fa quasi con spudoratezza offrendoci anche una sintesi del suo modo di concepire il cinema. Sul piano personale questa vicenda, in cui i legami familiari finiscono con il rivelarsi più forti di qualsiasi tentativo di alienarli, non manca di riferimenti diretti alla vita del regista. Padre e zio musicisti come nel film, famiglia sempre al seguito ovunque e, sicuramente, la sua stessa figura di padre/padrone dominante. Ma ciò che ancor più conta è il modo in cui Coppola dichiara il suo amore per un cinema che ha alle proprie radici il melodramma classico. Ce lo aveva già mostrato ne Il Padrino. Parte terza e ce lo ricorda ora con una vicenda in cui il colpo di scena è sempre in agguato e la musica classica gioca un ruolo non indifferente. Ma ci sono anche i ragazzi di Rumbe Fish in Tetro con la loro adolescenza tormentata. In chiusura un suggerimento che ogni tanto si rivela necessario: cercate di non farvi raccontare lo snodo della vicenda. Finireste col guardare la falena dalla parte sbagliata.
(Giancarlo Zappoli – da MyMovies.it)
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26 marzo
OffiCinema:
Omaggio a Stephan Elliott
Stephan Elliott. Regista australiano. Impulsivo, provocatorio e spesso vittima della sua stessa esuberanza, esordisce nel 1993 con Scherzi maligni, un film eccentrico e aggressivo che non piace ai produttori i quali lo rimontano completamente prima di distribuirlo. Per protesta il regista brucia l’unica copia del montaggio originale, pentendosene subito dopo. Complice la suggestiva vastità del deserto australiano, gira nel 1994 l’ironico e malinconico Priscilla, la regina del deserto, storia di omosessuali e travestiti che diventa presto un oggetto di culto internazionale. Sempre tormentato da difficoltà produttive, nel 1999 realizza The Eye - Lo sguardo, thriller anomalo e melodrammatico.
(da MyMovies.it)
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9 aprile
Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki
(Giappone 1988 – 93’ – animazione)
Satsuki e la sorellina Mei si trasferiscono insieme al padre in una casa in campagna dove attendono il ritorno della madre malata. Qui Mei percepisce la presenza di un enorme animale, cui dà il nome di Totoro.
Realizzato nel 1988, Il mio vicino Totoro è il film in cui Miyazaki adotta una narrazione ad altezza di bambino, evidente soprattutto nel registro lessicale e nella fisicità delle due protagoniste, che esprimono i concetti con l’ausilio di gesti enfatici, urlando la loro gioia e dando vita a una sinfonia di suoni vitalistici che il film sente naturalmente come propri. Sebbene sia già presente l’idea della “soglia da attraversare” (come nel futuro La città incantata) per accedere alla tana del Totoro, il film non soggettivizza l’esperienza fantastica, ma la rende organica al ciclo della vita e della natura, in ossequio a quella componente animista che troverà il suo apogeo nel capolavoro Princess Mononoke. Le creature fantastiche del film, quindi, non abitano alcun altrove, ma vivono normalmente attorno a noi e l’unico confine possibile che si possa tracciare è quello interno alla nostra capacità di percepirne la presenza. Come i Nerini del Buio che tendono a fuggire alla presenza della luce per abitare gli interstizi delle case, così i vari personaggi che il film mette in scena tendono a preservare una propria autonomia che alla bisogna può però diventare aperta condivisione di intenti: il registro si fa in questo caso ironico (l’attesa del Totoro con l’ombrello alla fermata dell’autobus), favolistico (la scena del volo, immancabile in qualsiasi film di Miyazaki) quando non direttamente avventuroso e velatamente drammatico (la corsa di Satsuki a bordo del Gattobus alla ricerca di Mei, o anche quella verso l’ospedale).
(Davide Di Giorgio)
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CINECIRCOLO CASALINI
aderente al Centro Studi Cinematografici
Sala Chaplin (c/o Consultorio “Il Focolare”) Via Plateia 142 - 74100 Taranto
Telefono 099.7353802
SPETTACOLI: h. 17.45 e h. 21.15 (OffiCinema solo h. 17.45)
QUOTA SOCIALE: Adulti: € 33,00 - Studenti: € 27,00
Le tessere sono disponibili presso la sede del Cinecircolo e la segreteria del Consultorio “Il Focolare”, o presso la Libreria Dickens, in Via Medaglie d'Oro 129.
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